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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliCarlo Levi (Torino, 1902-Roma, 1975) aveva il suo paradiso in terra: il giardino della casa di famiglia ad Alassio, in Liguria. La mostra «Il Giardino perduto di Carlo Levi», aperta negli ambienti della Fondazione Carlo Levi di Roma dal 19 marzo al 30 giugno, presenta 14 tele aventi a soggetto proprio questo luogo di ozio, riposo e contemplazione, frequentato dall’artista per tutta la vita, nella stagione estiva. La mostra è a cura di Daniela Fonti (presidente della Fondazione) e Antonella Lavorgna, il testo in catalogo edito da Effegi è di Luca Beltrami. I dipinti, di cui alcuni inediti, raccontano di una natura incantata, di luce tersa e di gesti sospesi, dove il tempo sembra essersi fermato. E se le opere della fine degli anni Venti risentono della tensione poetica e degli sguardi rivolti all’arte europea, proprio del gruppo de I sei pittori di Torino, di cui Levi, già allievo di Felice Casorati, fece parte, le prove successive si connotano per incisivi gesti che curvano la densa materia cromatica in onde ed espressionistici gorghi. Come, per esempio, ne «I carrubi» del 1972.
In una lettera alla madre del 1935, c’è tutto il senso di Carlo Levi della realtà come riflesso di colore: «Capisco adesso la straordinaria libertà e ricchezza del colore di Alassio, dove l’azzurro più intenso fa parer rosati gli ulivi, e i bianchi e i violetti delle pietre e i gialli e i rossi delle rocce son rilevati dal verde bluastro dei carrubi, e le palme si alzano tra i fiori come allegri pennacchi». Ad Alassio Levi si riposava dalle battaglie politiche e culturali che lo videro in trincea per tutta la vita, in nome della giustizia e della libertà. Il confino in Basilicata del 1935-36, inflitto dal regime per attività antifascista, venne trasformato in occasione di scoperta del Meridione d’Italia, nonché di creazione letteraria, con Cristo si è fermato ad Eboli. Seguirono i romanzi, sempre di impegno civile, Le parole sono pietre, L’orologio e Il futuro ha un cuore antico. E poi, tra una seduta in senato e un’altra (fu eletto durante gli anni Sessanta nelle liste del Pci), la pittura, suo primo amore, a cui ricorse già negli anni in cui, a Torino, studiava medicina. Si laureò, ma non praticò mai. Nel 1975, all’indomani della morte del pittore, scrittore, giornalista e politico, la compagna Linuccia Saba (figlia di Umberto Saba), istituì la Fondazione Carlo Levi. La mostra sulle opere che illustrano il suo eden privato è in continuità con lo spirito dell’artista e con la progettualità della Fondazione.

Carlo Levi, «Carrubi», 1972