«Il cinema è la scrittura moderna il cui inchiostro è la luce», affermava Jean Cocteau. E quale luogo migliore per esplorare e riflettere sulle fragilità e le contraddizioni del mondo, descritte da questo inchiostro di luce, se non le sale di un museo, capaci di fare da eco alla dimensione estetica della settima arte. «Il nostro tempo. CinéFondationCartier», alla Triennale di Milano fino al 16 marzo, è un percorso studiato da bunker arc che sconvolge e rinnova con un’unica mossa la fruizione museale e cinematografica. Undici sale per undici film di dodici cineasti, da percorrere come le tappe di un viaggio sensoriale ed esistenziale alla scoperta di sé e degli altri, spostandosi, soffermandosi, ritornando sui propri passi, come sognatori coscienti di muoversi nel proprio sogno. È la nona mostra del partenariato culturale tra Triennale Milano e la Fondation Cartier pour l’art contemporain, istituzione francese che «nel tempo ha contribuito alla realizzazione e diffusione di film lontani dai grandi circuiti di distribuzione cinematografica e che ha sostenuto un cinema emergente e innovativo», spiegano dal museo. È il caso, per esempio, di «Mari hi (L’albero del sogno)» del regista brasiliano Morzaniel Iramari, regista brasiliano appartenente al gruppo etnico Yanomami, che abita un’area al confine tra Brasile e Venezuela. Tra gli interpreti del suo cortometraggio (un documentario della durata di 17 minuti, girato nel 2023) vi è il capo Yanomami e sciamano Davi Kopenawa, che conduce gli spettatori nella particolare vita di questo popolo delle foreste, coltivatori, pescatori e cacciatori di fede animista.
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Il nostro tempo. CinéFondationCartier © Fondation Cartier, Triennale di Milano
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Il nostro tempo. CinéFondationCartier © Fondation Cartier, Triennale di Milano
Tra i film in dipendenti prodotti dalla fondazione anche «Martin Pleure (Martin Piange)» di Jonathan Vinel e Caroline Poggi (del 2017, della durata di 16 min 27 secondi), che indaga il rapporto delle giovani generazioni con un mondo sempre meno fisico e più virtuale da cui scaturisce un diffuso senso di solitudine, abbandono e non appartenenza. Ambientato in un futuro distopico, prende spunto da «Grand Theft Auto V», videogioco action-adventure basato su una storia malavitosa, il secondo in assoluto più venduto di sempre. Nel cortometraggio, il protagonista segue le tracce dei suoi amici scomparsi in una ricerca che lo conduce verso la follia. Un altro esempio di mondo distopica lo si ha nel lungometraggio «15 Hours (15 ore)», girato nel 2016 dal regista cinese Wang Bing. Un colossale lavoro in due parti (450 minuti ciascuna) che segue la giornata lavorativa di 15 ore di un giovane migrante impiegato in uno dei tanti piccoli laboratori della provincia di Zhejiang, dalla quale deriva l’80% della produzione cinese di abbigliamento per bambini. «Decades Apart (A decenni di distanza)», del duo sudcoreano composto dai fratelli Park Chan-wook, regista, e Park Chan-kyong, artista multimediale, regista e critico cinematografico, è invece un’opera in 3D ambientata nella zona demilitarizzata al confine tra la Corea del Nord e la Corea del Sud. Un luogo decadente dove i codici del cinema e della fotografia si mescolano per raccontare, con graffiante ironia, le tensioni di un Paese isolato e logorato da decenni di dittatura. La frenetica corsa al progresso come punto cardine di una politica di dominio globale è alla base del documentario «Notre Siècle (Il Nostro Secolo)» del 1982 (29 minuti e 28 secondi) del cineasta sovietico Artavazd Pelechian: un susseguirsi di immagini d’archivio alternate a scene di folle festanti, ai primi piani degli astronauti, in un crescendo di tensione che precede una catena di ineluttabili incidenti, portando a quel futuro distopico già analizzato da altri autori in mostra.
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Il nostro tempo. CinéFondationCartier © Fondation Cartier, Triennale di Milano
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Il nostro tempo. CinéFondationCartier © Fondation Cartier, Triennale di Milano
La relazione tra potere politico e linguaggio dei media è tema esplorato dal regista rumeno Andrei Ujica, autore del documentario «Nicolae Ceausescu: un’autobiografia», girato nel 2010 e della durata di 180 minuti: «un montaggio di immagini d’archivio che suggeriscono una visione contraddittoria della dittatura e che inducono a una riflessione sull’iconografia del potere e sulla strumentalizzazione delle immagini nella società contemporanea», spiegano dal museo. A controbilanciare alcune tra le pagine buie della storia, opere come «Vie (Vita)», altra opera di Artavazd Pelechian, inno alla vita ricco di riferimenti all’iconografia religiosa e di immagini che evocano il mistero della nascita su musiche Giuseppe Verdi; «El Aroma del viento (L’aroma del vento)» della regista e sceneggiatrice paraguaiana Paz Encina, che pone gli spettatori in contatto con gli alberi, detentori di sogni, misteri e memorie; «Au Bonheur des Maths (Il piacere della Matematica)», realizzato nel 2011 da Raymond Depardon e Claudine Nougaret, che racconta la passione e la meraviglia della matematica attraverso le testimonianze di nove matematici che nel 2011 hanno partecipato alla mostra «Mathématiques, un dépaysement soudain» alla Fondation Cartier. E poi ancora, «A Queda do Céu (La Caduta del Cielo)», girato nel 2024 da Eryk Rocha e Gabriela Carneiro da Cunha, che riprende e racconta la cultura degli Yanomami minacciata dalla geopolitica globale, assunta a paradigma dei pericoli del mondo e dell’umana civiltà; e «Le Triptyque de Noirmoutier» di Agnès Varda, un trittico ispirato alla pittura fiamminga che riflette sulla natura del linguaggio e del tempo cinematografici.
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Il nostro tempo. CinéFondationCartier © Fondation Cartier, Triennale di Milano
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Il nostro tempo. CinéFondationCartier © Fondation Cartier, Triennale di Milano
Ad accompagnare la mostra la serie di proiezioni intitolata «Cinema Night», una rassegna cinematografica tematica gratuita nella sala cinema dello spazio espositivo (su prenotazione www.triennale.org). I prossimi appuntamenti sono la presentazione il 12 febbraio alle 19 della nuova serie di proiezioni «I see myself, others see me», che avrà luogo dal 13 al 18 febbraio alle 18,30, e che sarà introdotta il 13 febbraio alle 19 dall’intervento di Fumettibrutti e Yuri Ancarani, moderato dal critico cinematografico Sergio Sozzo. Sempre il 13 febbraio, in programma anche la presentazione del libro «Infinite Memory», prima monografia di Caroline Poggi and Jonathan Vinel, co-pubblicata con Fondation Cartier pour l’art contemporain e Lenz. Il programma di I see myself, others see me include i film: «Eat the Night» di Jonathan Vinel e Caroline Poggi (13-18 febbraio), un thriller francese che ruota intorno a una serie di personaggi appassionati del videogioco online chiamato Darknoon; «Pacifiction» di Albert Serra (14 febbraio 2025 ), ispirato all’autobiografia dell’attrice polinesiana Tarita Tériipaia e ai temi del post colonialismo; «Atltantide» di Yuri Ancarani (15 febbraio 2025), film nato senza sceneggiatura con dialoghi rubati dalla vita reale di ragazzi della Laguna; «I Saw the TV Glow» di Jane Schoenbrun (16 febbraio 2025), film horror su due adolescenti emarginati ambientato alla fine degli anni ’90. Seguiranno il 19 febbraio, l’incontro alle 19 con Wang Bing e la quinta rassegna di proiezioni «I Penultimi Del Mondo» (dal 20 febbraio al 5 marzo dalle 18.30) con «Miracolo a Milano» di Vittorio de Sica; «Oasis» di Lee Chang-Dong; «Stray Dogs» di Tsai-Ming-Liang; «I Hired a Contract Killer» di Aki Kaurismaki. Infine, il 6 marzo alle 19 il sesto capitolo inaugurato da un incontro con Gabriela Carneiro da Cunha ed Eryk Rocha ad aprire la sesta rassegna «Sotto lo stesso cielo» (dal 7 al 16 marzo ogni sera dalle 18.30) che include le proiezioni di «La Nature» di Artavazd Pelechian e «Proposals» di Eryk Rocha and Aruac.