Silvano Manganaro
Leggi i suoi articoliI coniugi Giovanni e Clara Floridi, il primo notaio e la seconda avvocato, hanno dato vita a una fondazione d’arte contemporanea con la volontà di presentare al pubblico la loro collezione in un luogo che, a differenza di altre omologhe realtà romane, è lontano dal centro storico. Il nome D’Arc (acronimo scomposto di Rifugio d’Arte Contemporanea) deriva dall’ex rifugio antiaereo nei pressi di piazza Bologna nel quale i Floridi custodivano, fino a poco tempo fa, la loro collezione di arte contemporanea iniziata alla fine degli anni Novanta. Un nome che, come hanno dichiarato, vuole anche «presentarsi come metafora dello spirito di un luogo dove l’ospitalità è sinonimo di passione e partecipazione e condivisione attraverso l’arte». La sede, sottoposta a riqualificazione architettonica, è ubicata su 6mila metri quadrati in via dei Cluniacensi, tra via Tiburtina (non lontano dall’omonima stazione ferroviaria) e la bretella per la A24, dove fino a poco tempo fa sorgeva una fabbrica di manufatti in cemento. Qui lo studio 3C+t Capolei Cavalli architetti associati ha messo mano a un piazzale (che ospiterà eventi all’aperto), un giardino, una sede espositiva, una casa dotata di atelier, un capannone per attività artigianali e un bistrot che, come la fondazione, sarà per ora aperto il mercoledì e il venerdì dalle 15 alle 19 e su appuntamento.
La direzione artistica è stata affidata a Giuliana Benassi: «Nel caso della Fondazione D’Arc si parla di una collezione viva; la fondazione non rappresenta la conclusione di un percorso ma è un nuovo inizio, ha spiegato Benassi. Inoltre, tengo a specificare che nonostante la disponibilità fosse di ben 1.600 metri quadrati di area espositiva, non è stata presentata tutta la collezione. Una parte di questo spazio verrà tra qualche mese disallestita per far posto a mostre temporanee. L’idea è quella di procedere su due binari paralleli: da un lato, ospitare artisti stranieri in residenza che poi realizzeranno una mostra in fondazione, dall’altro, dare la possibilità ad artisti italiani di esporre, facendo diventare la D’Arc un punto di riferimento anche per l’arte italiana. Credo che, in generale, manchi un po’ a Roma (anche nei musei) un’attenzione dichiarata al panorama italiano. Senza nessuna velleità campanilista, credo sia importante raccontare quello che succede nella capitale e farlo arrivare fuori». Riguardo all’allestimento (152 le opere ora esposte) la direttrice precisa: «Non è una collezione museale, quindi il suo accumulo non è stato alla ricerca di una completezza storica. Anche se poi, a ben vedere, si è creato un percorso con dei raggruppamenti: Arte povera, Pop art, Op art, Arte programmata… La prima parte dell’allestimento segue questo ritmo con degli “innesti”, cioè degli accostamenti di opere di artisti più giovani che s’inseriscono in un dialogo non necessariamente dettato da una coerenza per affinità estetica formale, per contrasto e via dicendo. Poi il percorso a un certo punto si ribalta, nel senso che prevalgono le opere di artisti giovani e viventi con “innesti” di maestri più storicizzati». Infine, vale la pena spendere due parole sull’inusuale territorio in cui insiste la fondazione perché «l’edificio sorge sotto un’area archeologica molto bella. E dico proprio “sotto” perché vicino al Mausoleo di Aquilio Regolo c’è uno strapiombo, una parete di tufo, ai piedi della quale sorge la fondazione, ribaltando quello che è il tradizionale rapporto tra livello moderno e resto archeologico».
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