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«Il tempo del Futurismo» alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal 2 dicembre (ottantesimo anniversario della scomparsa di Filippo Tommaso Marinetti) fino al 28 febbraio 2025 ha sicuramente già stabilito un record: quello di essere la mostra d’arte con la maggiore esposizione mediatica prima della sua inaugurazione. A un mese dal taglio del nastro, dopo un rinvio deciso all’ultimo, dovrebbe essere ormai tutto definito. Dopo le numerose polemiche, diamo la parola al curatore della mostra, che ha invece in questi mesi mantenuto il massimo riserbo.
Gabriele Simongini, prima di farle presentare la mostra, le chiedo di ripercorrere le diverse fasi della nascita del progetto che le è stato affidato. Poco dopo la sua nomina, Gennaro Sangiuliano aveva dichiarato a Mario Ajello su «Il Messaggero»: «Vorrei cominciare la mia attività da ministro con due grandi mostre. Una su Umberto Boccioni e il Futurismo. L’altra sul Rinascimento. Questi due momenti storici e culturali sono stati quelli che, ognuno a modo suo, hanno proiettato l’Italia nel mondo». Da lì in poi che cosa è successo? Quando è stato contattato dal ministro e con quale mandato? A che punto eravate quando, nel gennaio 2024, Renata Cristina Mazzantini ha assunto la direzione della Gnam?
Prima di tutto sarebbe buona abitudine criticare una mostra solo dopo averla visitata e non preventivamente e pregiudizialmente, addirittura alcuni mesi prima dell’apertura, in base a invidie, falsità e banalità di ogni genere. Le polemiche che hanno preceduto questa mostra, quasi sempre pretestuose, piene di errori ma anche di vere e proprie maldicenze o pettegolezzi infondati, sarebbero piaciute ai futuristi e a Marinetti in particolare che in qualche caso aveva perfino «retribuito» alcuni giornalisti per parlare male delle mostre futuriste e creare curiosità nel pubblico. Noi le abbiamo avute gratis, una vera fortuna! Per quanto riguarda l’iter organizzativo posso raccontarvi che sono stato contattato, come storico dell’arte ed esperto nell’arte del XX secolo, dal ministro Sangiuliano nel dicembre 2022 per curare una grande mostra sul Futurismo capace di attrarre soprattutto i giovani, mettendo in evidenza i rapporti del movimento marinettiano con la scienza e la tecnologia dell’epoca. Si voleva andare al di là della solita mostra per addetti ai lavori. Quando si è insediata Renata Cristina Mazzantini alla direzione della Gnam, operativamente dal 12 febbraio 2024, erano ovviamente già partite le richieste di prestito e il suo arrivo ha facilitato e reso più spedita la complessa chiusura della fase organizzativa.
Veniamo alla mostra vera e propria. In una sua anticipazione al nostro giornale lo scorso 23 agosto, lei precisava che è pensata come «rassegna multidisciplinare e più coinvolgente per il grande pubblico». È uno statement abbastanza chiaro. È stata una convinzione fin da subito o piuttosto un’esigenza legata soprattutto al nuovo percorso che la Galleria Nazionale sta intraprendendo (si veda la mostra dedicata a Tolkien)? Come dobbiamo intendere la parola «coinvolgimento»?
Era una convinzione fin dall’inizio, ma che si è rafforzata e perfezionata nel corso del lavoro. La mostra della Gnam, che dopo molti anni torna finalmente a ospitare una rassegna di ampio respiro e impegno, ha l’ambizione di contestualizzare i capolavori esposti in una sorta di «sociologia» culturale fondata soprattutto sulle innovazioni scientifiche e tecnologiche che ne hanno accompagnato la creazione, senza le quali sfuggirebbe il senso profondamente e radicalmente rivoluzionario del Futurismo. Le opere vengono messe quindi in rapporto con oggetti e strumenti scientifici d’epoca provenienti dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia «Leonardo da Vinci» di Milano, ma anche con i fondamentali mezzi di locomozione che hanno modificato i concetti di velocità, spazio, distanza e sensibilità percettiva con mutamenti antropologici che non avevano precedenti in nessuna altra epoca e che hanno contribuito a una riconfigurazione radicale del paesaggio esterno e di quello interiore. Le scelte di ogni singolo oggetto sono state meditate. Faccio un esempio: nel 1934 l’idrovolante da corsa Macchi Castoldi Mc 72 (di cui viene esposta una copia perfetta a grandezza naturale, un mock-up, in termine tecnico) divenne l’aereo più veloce del mondo, ma quel che ci interessa ancora di più è che questo idrovolante richiama pienamente l’immaginario futurista di Marinetti, oltre quello degli aeropittori, visto che potrebbe essere senza dubbio uno degli apparecchi citati dall’inventore del Futurismo in L’aeropoema del Golfo della Spezia (1935). Inoltre abbiamo due installazioni destinate a coinvolgere in modo diretto un ampio pubblico: la prima, multimediale, porta il visitatore a contatto con i mutamenti percettivi che ebbero luogo a inizio ’900, mentre l’altra si concentra su un nuovo alfabeto di caratteri e lettere futuriste reinventate dopo un’attenta ricerca filologica.
Com’è strutturata la mostra? Quali e quante sale della Galleria sono coinvolte?
La mostra è articolata in 26 sale, ricche anche di manifesti, libri, film e riviste con un percorso scandito da dieci tappe: «Prima del Futurismo», «Futurismo analitico e dinamismo plastico», «Ricostruzione futurista dell’universo», «Arte meccanica», «Aeropittura», «Idealismo cosmico» ed «Eredità del Futurismo dal secondo dopoguerra», oltre a due sezioni tematiche dedicate rispettivamente al cinema e all’architettura e a una sala dossier su Guglielmo Marconi, che a mio parere fu un autentico futurista. Sono particolarmente orgoglioso del dialogo diretto, fianco a fianco, fra «Il Sole» (1904) di Pellizza da Volpedo e «Lampada ad arco» (1910-11 ca) di Balla, concesso in prestito dal MoMA di New York, per sottolineare il cambiamento epocale fra una concezione panica della natura, che rispecchia ancora un’Italia rurale e agricola, e la novità dell’elettrificazione, che esprime pienamente la «Modernolatria» di cui parlava Boccioni e che ha influenzato i futuristi anche nella strutturazione formale delle loro opere, come se fossero percorse da scariche elettriche. La mostra occupa i settori 3 e 4 della Gnam, su quasi 4mila metri quadrati di superficie.
Nel catalogo Treccani quali sono le firme coinvolte?
Il catalogo sarà pronto per l’apertura della mostra. Oltre ai testi istituzionali e al mio saggio, sono previsti i contributi di Günter Berghaus, Elena Gigli, Claudio Giorgione, Giovanni Lista, Francesca Barbi Marinetti, Ada Masoero, Ida Mitrano, Riccardo Notte, Francesco Perfetti e Marcello Veneziani.
Visto lo sforzo la mostra poteva avere una programmazione più lunga. Non chiude troppo presto? Avrebbe fatto saltare la programmazione futura del museo?
Tre mesi ci sembrano più che sufficienti e comunque abbiamo dovuto tenere giustamente conto anche della programmazione futura del museo e delle necessità legate al progetto di nuovo allestimento della Gnam.
La mostra non insiste sul dialogo che il Futurismo ha avuto con altre avanguardie internazionali, preferendo forse una lettura autarchica della nostra avanguardia più famosa anziché sottolineare una chiave di lettura europea (a parte il prestito di «Nudo che scende le scale» di Duchamp, sicuramente di grande effetto ma non direttamente frutto dell’influenza futurista). Anche questa è la scelta voluta di una mostra meno rivolta agli specialisti e più a un pubblico generico?
Quello che lei chiama «pubblico generico» merita il massimo rispetto, così come merita attenzione il nostro intento di parlare alle nuove generazioni, con il loro linguaggio. Come sa, sono state già fatte grandi mostre sui rapporti del Futurismo con le altre avanguardie internazionali e ci sembrava inutile proporre una ripetizione, visti i tanti temi che saranno affrontati alla Gnam. Per quel che riguarda Duchamp, vogliamo far vedere che l’idea del movimento permeava quegli anni anche in contesti creativi non futuristi come nel suo caso, e così esponiamo il suo «Nudo che scende le scale n. 1» (1911), proveniente dal Philadelphia Museum of Art, che risentì, come riconobbe l’artista stesso, delle cronofotografie di Marey e delle pellicole cinematografiche.
Un’ulteriore precisazione. Solo lei può fare chiarezza riguardo all’effettivo ruolo di Federico Palmaroli, detto Osho, inizialmente comparso nel comitato scientifico e ora diventato animatore di talk e performance organizzati durante i mesi di apertura.
Il ruolo di Palmaroli è stato già ampiamente chiarito dal comitato organizzatore. Il suo coinvolgimento è funzionale all’obiettivo di portare tanti giovani alla Gnam, perché Osho, appassionato e conoscitore del movimento futurista, ha ottimi spunti comunicativi e padroneggia il linguaggio dei social. Sta organizzando un ciclo di talk e performance live dedicati alla rivoluzione portata dal movimento marinettiano, oltre che nelle arti visive, anche nel teatro, nella danza, nella moda ecc. Non vorrei anticipare altre iniziative di Palmaroli se non quella che porterà un’auto d’epoca in alcune importanti piazze romane per diffondere la mostra al di fuori della Gnam, nei luoghi della vita quotidiana.
Quali rapporti ha avuto con il nuovo ministro? Ha ricevuto nuove o diverse indicazioni?
Non sono stato ancora convocato dal ministro, so che segue con attenzione la preparazione della mostra. Non è arrivata nessuna indicazione nuova o diversa, bensì l’incoraggiamento a proseguire su questa strada.
Ultima riflessione: soprattutto l’ex ministro Sangiuliano desiderava valorizzare il Futurismo che considerava penalizzato da una lettura ideologica della sinistra. Se portate però la questione in politica, non rischiate di ottenere l’effetto opposto?
È davvero un peccato ed è un errore dare a tutti i costi una lettura ideologica alla mostra, politica e polemica. Non è questo il mio intento né quello di tutti coloro che hanno lavorato per quasi due anni alla sua realizzazione, né quello degli sponsor che l’hanno sostenuta. Il Futurismo piace e interessa a tutti, in primis agli americani, e rappresenta un motivo d’orgoglio per il nostro Paese. Mi sembra fondamentale che per la prima volta il nostro principale museo d’arte italiana dell’Ottocento e del ’900, ossia la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, dedichi una rassegna fondamentale al Futurismo, una cosa che probabilmente si sarebbe dovuta fare molto prima. La mostra alla Gnam sarà pluralista e soprattutto «popolare» nel senso più alto del termine.