Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Una veduta della mostra «La Bella Estate» nella sede della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Guarene (Cn)

Photo: Giorgio Perottino

Image

Una veduta della mostra «La Bella Estate» nella sede della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Guarene (Cn)

Photo: Giorgio Perottino

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo si prepara a festeggiare 30 anni

La quarantina di opere esposte nella collettiva di Guarene, nel Roero, sono un’introduzione alle due mostre torinesi che celebrano l’importante traguardo

«Cosa resterà di questi anni ’80?», si chiedeva Raf dal palco del Festival di Sanremo del 1989. È una domanda lecita, che ha senso porsi sempre, e non solo rispetto agli anni ’80, dato che la produzione culturale, le mode e gli eventi di un’epoca non sono mai rilevanti in senso assoluto, ma lo diventano in base al sentire del momento storico in cui li si osserva. Tom Eccles, Liam Gillick e Mark Rappolt, i curatori di «La Bella Estate», fino al 9 novembre nella sede della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Guarene (Cn), sembrano essersi posti la stessa domanda di Raf, però rispetto agli anni ’90, periodo in cui Patrizia Sandretto avviò la sua collezione di arte contemporanea. La mostra è un assaggio, o un’introduzione, alle due grandi mostre in programma per la fine di ottobre per celebrare i 30 anni della Fondazione, intitolate «News from the near Future» (fino all’8 marzo 2026), che inaugureranno il 28 ottobre nella sua sede di Torino e il 29 ottobre negli spazi del Mauto

Nella collettiva di Guarene sono esposte circa 40 opere, tra le prime a essere entrate in collezione, da cui, col senno di poi, si può leggere la direzione e gli interessi che alimenteranno le future acquisizioni: il costante e profondo dialogo con gli artisti, la fiducia nella loro visione e la scelta di opere significative, mai banali, attraverso cui si possano costruire narrazioni sul contesto e sul periodo in cui furono realizzate. La narrazione scelta dai curatori per legare le opere di questo progetto prende il titolo da un romanzo breve di Cesare Pavese, contenuto nel libro omonimo pubblicato da Einaudi nel 1949, di cui una copia della prima edizione, autografata dall’autore, è presente in mostra. La bella estate racconta di una ragazza, Ginia, che trascorre un’estate non proprio stupenda in compagnia di artisti della Torino bohémienne del dopoguerra, con cui sperimenta un doloroso momento di crescita attraverso sconfitte e delusioni. La scelta del titolo è ironica e intelligente, proprio come la prima stanza della mostra: appena entrati ne «La Bella Estate» troviamo un albero di Natale, un lavoro di Philippe Parreno («Jean-Luc Godard», 1993) che per 11 mesi all’anno è un’opera d’arte, mentre a dicembre smette di esserlo e diventa solo un albero di Natale. «La Bella Estate» è una mostra sul tempo, e sul potere concesso all’arte di mutarne e guidarne la percezione. Nella stessa sala, questo concetto viene ribadito, ma con un diverso tipo di ironia, nella performance di Angela Bulloch e Liam Gillick «An old song and a new drink» (1993), in cui un cameriere versa a ogni visitatore un bicchiere di whisky irlandese, che va consumato sul posto con in sottofondo un vecchio disco: mentre lo beviamo passiamo almeno una decina di minuti a osservare gli altri due lavori della sala (il già citato albero di Parreno e un bel dittico di Bruno Zanichelli) accrescendo notevolmente quei sei secondi che, secondo alcune statistiche, i visitatori dei musei dedicano in media all’osservazione di una singola opera d’arte (lettura della didascalia compresa). Più avanti troviamo un’altra riuscita opera di Gillick: «Pinboard Project» (1992) è una bacheca con appuntate le istruzioni su come usarla. 

Molte delle opere in mostra sono state create in un periodo in cui gli artisti si chiedevano che cosa potesse o non potesse essere un’opera d’arte, e questo lavoro ne è un emblema: ha la forma di un dipinto ma non ha un soggetto fisso, è opera ma anche spazio espositivo, ha una funzione pratica (le opere solitamente non ne hanno), è didascalia di sé stessa e si presta a essere didascalia di altre opere: in questo caso i curatori l’hanno impiegata per esporre il testo introduttivo alla mostra, la lista degli artisti e alcuni inviti a progetti passati della Fondazione. Altre opere si configurano come contenitori, o capsule del tempo: l’impraticabile casetta di Mark Dion, «Office of the Censor» (1996), contiene una polifonia di oggetti accuratamente selezionati ma non consultabili, avverando implicitamente la sua natura di «ufficio del censore» e ironizzando sull’inaccessibilità dei reperti conservati nei musei; «Chanel fall-winter 94/95» (1994) di Silvie Fleury è un tappeto fucsia su cui sono sparse riviste di moda di trent’anni fa, pubblicazioni che proponevano modelli estetici tanto inarrivabili quanto sintetici, e di conseguenza l’opera oggi conserva inalterata la sua freschezza come un mazzo di fiori finti; «Untitled, Ceiling» (1993) di Rachel Whiteread è il calco della porzione di un soffitto proveniente da una casa di epoca vittoriana ormai demolita: reso in gesso e installato a pavimento, questo piatto monolite bianco ci ricorda quanto la nostra percezione del tempo dipenda dal modo in cui viviamo lo spazio, e che gli oggetti, come le opere d’arte, hanno sempre bisogno di una narrazione per raccontarsi al presente, e di qualcuno che si prenda l’impegno di coltivarla, aggiornarla e tramandarla. 

Una veduta della mostra «La Bella Estate» nella sede della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Guarene (Cn). Photo: Giorgio Perottino

Una veduta della mostra «La Bella Estate» nella sede della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Guarene (Cn). Photo: Giorgio Perottino

Matteo Mottin, 06 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo si prepara a festeggiare 30 anni | Matteo Mottin

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo si prepara a festeggiare 30 anni | Matteo Mottin