Nelle collezioni del Louvre figurano due opere di Cimabue, la «Maestà» e «Il Cristo deriso», di recente restaurate e presentate adesso sotto una nuova luce nella prima mostra che il museo parigino dedica al pittore fiorentino, maestro di Giotto, che rivoluzionò l’arte del suo tempo facendo da ponte tra la tradizione bizantina e la nascente arte del Rinascimento. Col titolo «Rivedere Cimabue. Alle origini della pittura italiana», dal 22 gennaio al 12 maggio, la mostra è a cura di Thomas Bohl, conservatore al Dipartimento delle pitture italiane e specialista di arte senese. Le storie delle due tavole sono molto diverse. La monumentale «Maestà» (4,27x2,8 m), che rappresenta la Madonna in trono con il Bambino circondata da angeli, è stata realizzata nel 1280-90 come pala d’altare della Chiesa di San Francesco a Pisa. Arrivò a Parigi nel 1812 con le spoliazioni napoleoniche.
«Il Cristo deriso» (25,8x20,3 cm), anch’esso dipinto con tempera a uovo su sfondo d’oro, è entrato al Louvre nel 2023: caduta nell’oblio, scoperta nel 2019 in una casa di Compiègne, la piccola tavola era stata venduta all’asta per 24 milioni di euro da Actéon prima di entrare nelle collezioni francesi come tesoro nazionale. Intorno alle due tavole si articolano una quarantina di opere in arrivo da musei europei e statunitensi. Il prologo della mostra ricorda quanto poco si sappia di Cenni di Pepe (1240 ca-1301-02), detto Cimabue, citato da Dante come il pittore maggiore prima dell’avvento di Giotto «che la fama di colui oscura». In apertura del percorso si ricostruisce il contesto della scena pittorica a Firenze, Pisa e Assisi nella seconda metà del Duecento, in cui l’arte bizantina, dominata da colori piatti e contrastanti, da immagini statiche e astratte, influenzava ancora profondamente gli artisti italiani. Il Museo Nazionale di San Matteo di Pisa ha prestato il «Crocifisso di san Ranierino» (1240-50 ca) in cui il suo autore, Giunta Pisano, adotta la tipica iconografia bizantina introdotta in Italia all’inizio del secolo. Arriva poi a Parigi la «Madonna Kahn», intrigante icona bizantina della National Gallery of Art di Washington, per decenni oggetto di discussione.
Fulcro della mostra è la «Maestà», in cui c’è tutta la maestria e la ricerca di Cimabue nel rompere con la rigida stilizzazione dell’arte bizantina, aprendo la strada all’umanizzazione delle figure e a una rappresentazione più realistica dello spazio. Il restauro ha restituito i colori originali dell’opera (in particolare i blu luminosi, dipinti in lapislazzuli) e ha rivelato dettagli nascosti da precedenti interventi, come il bordo rosso coperto da pseudo scritte arabe e il motivo orientale del trono, che mettono in evidenza le influenze bizantine
«La creazione di un’opera monumentale come la “Maestà” solleva la questione della bottega di Cimabue. Benché si sappia poco, si ritiene che Cimabue sia stato il maestro di Giotto e gli storici dell’arte ipotizzano che il grande pittore senese Duccio di Buoninsegna sia stato molto influenzato da lui, scrive il Louvre in una nota. È un dato di fatto che lo stile di Cimabue abbia influenzato molti artisti, e la mostra riunisce le opere di diversi di loro». Tra queste, la «Madonna di Crevole» di Duccio di Buoninsegna (1283-84), prestata dal Museo dell’Opera del Duomo di Siena. Una sezione è dedicata al «Cristo deriso», esempio dell’«inventività prodigiosa» di Cimabue. La piccola tavola faceva parte di un polittico del 1280 con scene della vita di Cristo di cui solo altri due elementi sono noti: «La Flagellazione» e «La Maestà con due angeli», conservati rispettivamente alla Frick Collection di New York e alla National Gallery di Londra. I tre pannelli sono per la prima volta riuniti.
La mostra si chiude su un’altra opera maggiore del Louvre: «San Francesco riceve le stigmate» di Giotto, anch’essa eseguita, tra il 1295 e il 1300, per la Chiesa di San Francesco di Pisa. «All’alba del XIV secolo, conclude il Louvre, Duccio e Giotto, entrambi profondamente influenzati dall’arte del grande Cimabue, morto nel 1302, incarnano la rinascita della pittura».