Fino al 19 aprile il Museo e Certosa di San Martino a Napoli ospita la mostra «Didier Barra e l’immagine di Napoli nel primo Seicento». Curata da Pierluigi Leone de Castris, la rassegna affronta quel nodo critico che nel 1956 Raffaello Causa definì «l’enigma Monsù Desiderio», restituendo al catalogo di Didier Barra (1590-1656 ca) la maggior parte delle vedute dipinte di primo Seicento. «L’immagine della città di Napoli agli inizi del Seicento ci è oggi nota non solo grazie ad alcune straordinarie cartografie o incisioni, ma anche grazie a una serie di vedute dipinte… La gran parte di queste vedute dipinte di Napoli del primo Seicento sono attribuite o attribuibili alla bottega di due pittori lorenesi nativi della stessa città di Metz, amici tra loro e collaboratori, che le fonti e gli studi hanno da sempre però avuto difficoltà a distinguere l’uno dall’altro, François de Nomé e Didier Barra, sin dai primi studi moderni di Demonts e Reau uniti sotto un’unica etichetta e un unico problema critico, apparentemente inestricabile», spiega il curatore nel catalogo della mostra (artem).
Attraverso i documenti emersi negli ultimi decenni, ma anche attraverso lo studio di dipinti finora ignoti o non presi in considerazione dagli studi e conservati presso musei, fondazioni, enti religiosi e collezioni private, è possibile restituire «una volta per tutte a Didier Barra, attivo nella capitale del Viceregno tra il 1614 e il 1656, il ruolo di vero e principale specialista di questo genere di vedute, mettendo in luce la conoscenza reciproca e gli scambi intercorsi tra lui e i maggiori incisori e cartografi, tutti anch’essi forestieri, operosi in città nel corso dei primi decenni del Seicento, e offrendo infine ai visitatori della mostra stessa l’opportunità di un viaggio nella topografia della città di Napoli nel primo Seicento», continua il curatore. «La mostra si presenta preziosa e ricca di novità. Ricostruisce la figura di Didier Barra, primo grande vedutista attivo a Napoli all’inizio del Seicento, distinguendone la produzione da quella del suo amico e collaboratore François de Nomé, il pittore di rovine e visioni prospettiche. In parallelo, i dipinti di Barra sono messi a confronto con la produzione incisoria e cartografica, a partire dalla “Pianta Baratta”, per comprendere meglio, attraverso queste fonti, l’immagine della città negli anni dei viceré spagnoli fino agli eventi della rivoluzione di Masaniello e alla peste del 1656», aggiunge Massimo Osanna, direttore generale Musei MiC.