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Giulia Grimaldi
Leggi i suoi articoliQuando la National Gallery Singapore (Ngs) inaugurò nei palazzi storici del municipio e della Corte Suprema nel 2015, aveva un obiettivo dichiarato: rimettere l’arte moderna e contemporanea del Sud-Est asiatico al centro del discorso internazionale. Dieci anni dopo, il bilancio del direttore e ceo Eugene Tan è quello di un’istituzione ormai matura: «In questo decennio Singapore ha continuato a investire con decisione nel proprio ecosistema artistico: nuovi fondi, un pubblico più curioso, oltre 14 milioni di visite alla National Gallery». La NGS, spiega, è diventata un ponte regionale e internazionale, grazie a collaborazioni con istituzioni come il Centre Pompidou o il National Museum of Modern Art di Tokyo, che hanno rafforzato il dialogo curatoriale e ampliato la visibilità della regione.
L’anniversario coincide con l’apertura di «Fear No Power: Women Imagining Otherwise» (dal 9 gennaio al 15 novembre 2026), mostra che mette in luce le vite e le pratiche di cinque artiste del Sud-Est asiatico. La mostra rende omaggio alle opere realizzate tra gli anni Sessanta del ’900 e il primo decennio del nuovo millennio da Imelda Cajipe-Endaya (Filippine), Nirmala Dutt (Malesia), Amanda Heng (che rappresenterà Singapore alla prossima Biennale di Venezia), Dolorosa Sinaga (Indonesia) e Phaptawan Suwannakudt (Thailandia) e al loro impegno nel concepire un mondo più equo. Con lavori sviluppati in tempi di decolonizzazione, sviluppismo, Guerra Fredda e profondi cambiamenti sociali, la mostra illustra come queste artiste abbiano tracciato percorsi sia personali sia politici. Per Tan è un’ulteriore opportunità di «rileggere l’emancipazione femminile da prospettive proprie del Sud-Est asiatico, non filtrate da teorie occidentali». E aggiunge, «spero che il pubblico internazionale riconosca la profondità intellettuale e politica dell’arte della regione e il modo in cui queste donne hanno creato pratiche capaci di parlare attraverso generazioni e confini».
Riguardo a quali siano i principali ostacoli che ancora compromettono la visibilità dell’arte del Sud-Est asiatico nel dibattito globale, la risposta di Eugene Tan è molto chiara: «Il predominio delle narrazioni euro-americane e l’accesso diseguale alle reti, ai mercati e alle piattaforme editoriali. Tuttavia, la situazione sta lentamente cambiando. Man mano che i curatori e gli studiosi della regione affermano le nostre prospettive e le istituzioni investono nella ricerca a lungo termine, stiamo iniziando a colmare le lacune storiche che persistono da decenni».
La strategia delineata da Tan per colmare le principali lacune della regione si concentra sull’ampliamento della collezione con opere provenienti da gruppi storicamente sottorappresentati, tra cui artiste donne e artisti indiani, malesi o appartenenti alla diaspora e da Paesi come Laos e Brunei. In questa prospettiva si inseriscono le acquisizioni più rilevanti dell’ultimo anno finanziario, che comprendono lavori di figure fondamentali come Raden Saleh e Fernando Zóbel, insieme a opere di artiste della regione come Anita Magsaysay-Ho, unica donna del celebre gruppo dei Thirteen Moderns e figura centrale dell’arte moderna filippina. Tra gli ampliamenti più significativi figura inoltre un nucleo di oltre 200 fotografie provenienti dal Myanmar, datate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: un corpus che riunisce materiali di studi e autori di primo piano dell’epoca, come Felice Beato, Linnaeus Tripe, Bourne & Shepherd, Jackson & Bentley, P.A. Klier, D. A. Ahuja, Fuji & Co e altri ancora.
Non mancano poi i progetti cocurati e mostre itineranti come «Georgette Chen: At Home in the World» o «Tropical: Stories from Southeast Asia and Latin America» che, secondo Tan, è stata una mostra storica capace di ridefinire radicalmente il modo in cui concepiamo la modernità al di fuori dei centri euro-americani: «Coprendo tutto il XX secolo e presentando oltre 200 opere, archivi e documenti primari di oltre 100 artisti, la mostra ha ripercorso il modo in cui due regioni plasmate dal colonialismo, dalla rivoluzione e dalla costruzione nazionale hanno forgiato il proprio vocabolario artistico in risposta a condizioni storiche condivise. La mostra ha anche ridefinito il “tropicale” non come lo sfondo passivo familiare dell’immaginario coloniale, ma come un luogo attivo di agenzia culturale, presentando i tropici come un luogo di creatività, resistenza e produzione intellettuale». Sarà possibile vedere la nuova presentazione della mostra a Città del Messico, nell’ambito di «Somos Pacífico: El Galeón de Acapulco-Manila», allestita dal 4 dicembre al 31 maggio 2026 nel Colegio de San Ildefonso, dove più di 80 opere della Collezione Nazionale di Singapore sono esposte in dialogo con collezioni provenienti dal Messico e da altri Paesi, approfondendo le connessioni interregionali.
Dal 22 al 31 gennaio 2026, nella città-Stato si terrà la Singapore Art Week, e la National Gallery Singapore ne sarà un attore centrale con il forum internazionale Force Fields, l’opening party e il lancio dell’edizione di Light to Night, oltre alla coesistenza delle due grandi mostre: «Into the Modern: Impressionism from the MFA Boston» (fino al primo marzo 2026), la più ampia mostra di Impressionismo francese mai presentata nel Sud-Est asiatico e la già citata «Fear No Power». «Ciò che spero di vedere durante la Singapore Art Week è semplice ma fondamentale: persone di ogni estrazione sociale che interagiscono in modo significativo con l’arte, sottolinea Eugene Tan. Per me, un’edizione 2026 di successo è quella in cui l'energia della settimana si estende oltre i nove giorni. È quando la città si sente viva di possibilità artistiche, quando il pubblico si sente accolto nella conversazione e quando le idee e gli incontri scaturiti durante la Saw continuano a risuonare. Se i visitatori se ne vanno con un apprezzamento più profondo dell’arte del Sud-Est asiatico e se la National Gallery Singapore continua a essere vista come un ponte vitale tra le pratiche regionali e il discorso internazionale, allora potremo essere soddisfatti perché la Singapore Art Week avrà raggiunto il suo scopo». «L’arte del Sud-est asiatico è sempre stata in dialogo attivo con il mondo, costruendo modernità proprie, complesse e profondamente immaginative», conclude il direttore Tan.