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Chiara Caterina Ortelli
Leggi i suoi articoliA pochi giorni dalle tensioni dovute alle elezioni tedesche, Berlino ritorna frenetica, ma questa volta per l’Emop (European Month of Photography), il festival biennale della fotografia. Quest’anno l’opening si è svolto alla Akademie der Künste, con una mostra centrale curata da Maren Lübbke-Tidow, direttrice artistica dell’Emop, intitolata «Was zwischen uns steht. Fotografie als Medium der Chronik». Il titolo, «Ciò che ci separa ma anche ciò che ci unisce», serve come motto di tutto il festival: più di cento mostre affrontano il tema dei conflitti sociali, da richieste d’asilo a tendenze nazionaliste esaminando ogni sfumatura del significato delle frontiere cercando di far nascere un dialogo.
Insieme a questa, l’Akademie presenta «Ein Dorf 1950-2022. Ute Mahler, Werner Mahler und Ludwig Schirmer», curata da Marit Lena Herrmann, un lavoro di ampio respiro che mostra l’evoluzione e i cambiamenti di Berka, un villaggio turingio nell’arco di più di settant'anni. Per tutto il mese di marzo, istituzioni, archivi, collezioni, spazi espositivi e gallerie berlinesi aprono le loro porte per farci riscoprire la fotografia in tutte le sue forme.
Questa undicesima edizione dell’Emop, dall’1 al 31 marzo, riesce a immergerci nei discorsi contemporanei sociali e politici, aprendo uno spazio per dialogare tra presente e passato, tra differenze sociali e culturali, tra identità individuali e collettive, tra conflitti globali e soluzioni locali, favorendo un confronto che stimola la riflessione e l’azione nel contesto attuale.

«ABC-Grafton G2651» (2022) di Silvia Rosi. Foto © Silvia Rosi, con il supporto di Fondazione MaXXI Foundation e di Bulgari
Da vedere tra le mostre istituzionali: le storie più significative
Il C/O presenta «Protekorat» di Silvia Rosi (1992), vincitrice del C/O Berlin Talent Award 2024. In collaborazione con la curatrice e autrice Kathrin Bauer (1992), l’artista italo-togolese occupa una parte del primo piano dell’Amerika Haus con una mostra centrata sui discorsi post-colonialisti e concretamente, sull’evangelizzazione del Togo dai missionari tedeschi. In un assemblaggio di fotografie, video e documenti d’archivio, l’artista riflette sulla migrazione, l’identità e la memoria collettiva in una prospettiva diasporica. «Protektorat» condivide lo spazio espositivo con una mostra di Sam Youkilis, il fotografo più famoso di Instagram, e al piano terra «A World in Common», una selezione di opere di più di venti artisti che affrontano il tema della colonizzazione in Africa. Tutte e tre le esposizioni sono da vedere entro il 7 maggio 2025.
Da vedere tra le mostre in galleria: gli eventi più commoventi
Come si delineano le frontiere? Come si determina dove ci si sente a casa? Alla galleria Klemm’s, le opere di Felipe Romero Beltrán (1992) hanno lo scopo di mostrarci le difficoltà di giovani migranti marocchini, spesso minorenni, arrivati illegalmente in Spagna. La mostra «Dialect» utilizza il medium come cronaca: l’artista ha seguito questi ragazzi per tre anni, raccontando la loro vita in un «centro d’attesa», mentre aspettano di ricevere lo statuto di residenti. Le fotografie sono presentate assieme ad un video «Recital», 20 minuti in cui uno dei ragazzi cerca di leggere in spagnolo il documento ufficiale della legge sull’immigrazione. La mostra chiude il 12 aprile 2025.
Da non mancare: foto giornalistiche ormai icone
«Zeit der Umbrüche», ovvero «Momento di sconvolgimento», è la mostra della fotografa tedesca Johanna-Maria Fritz (1994) esposta al Willy-Brand Haus. I suoi soggetti sono le zone di conflitto e di guerra, in Stati falliti, tra minoranze perseguitate e ai margini della società. La mostra presenta il considerevole corpus di lavori dell’artista di soli 30 anni. Fritz lavora nel giornalismo e le sue fotografie appaiono spesso sui media internazionali. Fra queste, si possono osservare foto di combattenti talebani, di campi di rifugiati, ma anche delle tracce della stregoneria in Romania.

«50_15» (2022) di Michel Kekulé. © Michel Kekulé
Da non dimenticare: la voce anche ai fotografi «emergenti»
Per la seconda volta, il festival presenta l’Emop Special Emerging Scene, un format che dà spazio ai giovani fotografi. Dopo il successo della prima edizione nel 2023, sei istituzioni a Berlino e a Potsdam espongono nuovamente i lavori realizzati nell’ambito dei loro rispettivi programmi. La curatrice Marie-Luise Mayer è stata invitata a curare una mostra, selezionando opere fra un totale di 36 presentate. Il risultato è «Meet Me Halfway»: basate sul motto dell’EMOP, le opere selezionate riflettono il desiderio di comprensione. Gli artisti cercano di dimostrare che la convivenza può essere vista come un modo per combattere le frammentazioni sociali e culturali.

«Senza titolo» della serie «Daughters of Magic (Mogosoaia, Romania)» (2019) di Johanna-Maria Fritz. Foto © Johanna-Maria Fritz / Ostkreuz
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