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Rocco Moliterni
Leggi i suoi articoli«La nostra Fondazione sviluppa progetti culturali per la valorizzazione e la promozione del territorio. Ci sembrava in questo caso importante farlo attraverso la fotografia e attraverso due mostre che dialogano tra loro e mettono in relazione due importanti luoghi del cuneese come la Castiglia di Saluzzo e il Filatoio di Caraglio»: a parlare è Davide De Luca, direttore della Fondazione Artea cui si deve l’organizzazione delle mostre «Fotografia è donna. L’universo femminile in 120 scatti dell’Agenzia Magnum Photos dal dopoguerra ad oggi» alla Castiglia di Saluzzo e «Inge Morath. L’occhio e l’anima» al Filatoio di Caraglio.
A curare la prima sono Walter Guadagnini e Monica Poggi di Camera per un progetto in cui è coinvolto anche il Comune di Saluzzo. «Ci interessava raccontare l’universo femminile attraverso gli sguardi delle fotografe di Magnum, spiega Monica Poggi. Abbiamo così individuato sei sezioni in cui si sviluppano sei argomenti che trovano la loro rappresentazione d’insieme grazie all’accostamento di ventidue progetti fotografici». Si vedono così alcune delle serie più iconiche realizzate da dodici autrici di Magnum Photos, a cui si aggiungono i lavori di sei autori dell’agenzia. «La mostra, prosegue Poggi, racconta come il corpo femminile sia stato emblema del trascorrere del tempo individuale e di quello storico. Affrontando situazioni anche molto diverse tra loro, nello spazio geografico e negli anni, il percorso presenta uno spaccato sulla vita delle donne, dalla fine del secondo conflitto mondiale a oggi».
Le prime due donne a entrare in Magnum furono nel dopoguerra Inge Morath ed Eve Arnold. E accanto alle due «capostipiti» vi sono fotografe che hanno intrapreso lo stesso cammino: Olivia Arthur, Myriam Boulos, Cristina De Middel, Bieke Depoorter, Nanna Heitmann, Susan Meiselas, Lúa Ribeira, Alessandra Sanguinetti, Marilyn Silverstone, Newsha Tavakolian. Gli autori maschili che con la loro arte hanno saputo dar forma all’identità femminile sono Robert Capa, Bruce Davidson, Elliott Erwitt, Rafal Milach, Paolo Pellegrin, Ferdinando Scianna.
Di grande attualità sono tra le altre le immagini di Nanna Heitmann. Nata a Ulm, in Germania, Heitmann vive a Mosca e da questo particolare punto di osservazione racconta eventi come l’invasione dell’Ucraina, e segue progetti a lungo termine che spesso si concentrano sul modo in cui le persone rispondono e interagiscono con il loro ambiente.
Storiche e per certi versi straordinarie sono le immagini di Marilyn Silverstone, fotografa di Magnum e poi monaca buddista, appassionata dell’India, che seguì nei primi anni Sessanta il viaggio nel Paese asiatico di Jacqueline Kennedy. Colpiscono le immagini della first lady in crociera su una barca lungo il Gange, a esse sono poi affiancate quelle di Elliott Erwitt con Jacqueline al funerale del presidente americano assassinato a Dallas. Singolare è tra gli altri il lavoro della fotografa statunitense Alessandra Sanguinetti: con «Le avventure di Guille e Belinda e il significato enigmatico dei loro sogni», propone un progetto di fotografia documentaristica di oltre 20 anni su due cugine, Guillermina e Belinda, mentre crescono nelle campagne di Buenos Aires.
La prima donna a entrare in Magnum fu Inge Morath. «La mostra che le dedichiamo, dice ancora Davide De Luca, ha per noi un significato particolare. Quest’anno si celebra il centenario della sua nascita e ci sembrava giusto portarla al Filatoio di Caraglio che ha visto una lunga storia di donne al lavoro». A curare la mostra sono Brigitte Blume, Kurt Kaindlee e Marco Muniz, l’allestimento è stato realizzato grazie alla collaborazione di Suazes, Fotohof, Magnum Photos e Comune di Caraglio.
Inge Morath è entrata nella storia della fotografia per un celebre reportage realizzato sul set del film «maledetto» «Gli spostati», girato nel Nevada nel 1961. All’epoca la fotografa austriaca aveva 38 anni e faceva da assistente a Cartier-Bresson. Sul set del film tra l’altro conobbe il drammaturgo Arthur Miller all’epoca sposato con Marilyn Monroe. Si rividero due anni dopo, quando lui aveva lasciato l’attrice, si innamorarono e rimasero insieme tutta la vita.
«Nel mio cuore, scriveva la Morath, voglio restare una dilettante, nel senso di essere innamorata di quello che sto facendo, sempre stupita delle infinite possibilità di vedere e usare la macchina fotografica come strumento di registrazione». Diverrà celebre per i suoi ritratti, ma a incantare in mostra sono anche le foto scattate in giro per il mondo. A Venezia, dove riprende a lavorare spinta da Robert Capa (gli aveva telefonato dicendo di mandare qualcuno dell’Agenzia e lui le rispose «comprati una macchina e fai tu le foto»), riesce a trovare spunti inconsueti come un’inquietante piazza San Marco ostaggio dei piccioni, che sembra una scena da «Gli uccelli» di Hitchcock.
Il progetto espositivo, realizzato ad hoc per gli spazi del Filatoio, mira a far emergere nelle diverse sezioni tematiche tutte le principali esperienze umane e professionali della grande fotografa austriaca, offrendo così la più vasta monografia italiana a lei dedicata. C’è inoltre una sezione mai esposta prima in Italia con fotografie a colori.


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