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La guerra prima, durante e dopo

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Milano, Napoli e Vicenza. Le Gallerie d’Italia-Piazza Scala presentano dal primo aprile al 23 agosto, in occasione di Expo, la mostra «La Grande Guerra: arte e artisti al fronte», che celebra il centenario del conflitto attraverso quasi duecento opere selezionate dal curatore Fernando Mazzocca per ricomporre un vasto affresco dell’età che dal 1890 giunge fino ai primi anni del fascismo. Sono anni tormentati per un’Italia da poco unita, che nel quarto di secolo che precede l’entrata in guerra si trova ad affrontare lo scandalo della Banca Romana, la disfatta dell’Amba Alagi, le rivolte operaie milanesi soffocate nel sangue dal generale Bava Beccaris e il terremoto di Messina per poi vivere una guerra sanguinosa e uscirne vittoriosa sì, ma travagliata dai drammi sociali che l’avrebbero condotta al fascismo. La mostra si muove dunque all’inizio sul versante più cupo degli anni tra i due secoli, esplorando il lavoro degli artisti che meglio seppero farsi interpreti di quel clima. L’incipit del percorso è affidato, nel Salone centrale, al «Poema della Vita Umana», ciclo monumentale non più esposto da tempo nella sua interezza, che Giulio Aristide Sartorio eseguì per la Biennale di Venezia del 1907: una sorta di immenso fregio che con la tecnica antica dell’encausto, rielaborata dall’artista, narra la vicenda universale della vita umana con uno stile che se guarda a Fidia e Michelangelo è però attraversato da uno scattante dinamismo modernista e da un’evidente vena simbolista. Si entra poi nella prima sezione, intitolata (evocando Nietzsche) «Sospesi sull’abisso. Il lato oscuro della Belle Époque», nella quale ci si imbatte in opere raramente esposte fuori dalla loro sede, anche per le difficoltà di spostarle, come il grandioso «La benedizione dei morti del mare» di Lorenzo Viani, «I viandanti» di Felice Carena o il trittico della Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma «Sic transit gloria mundi» dell’austriaco Adolf Hirémy-Hirschl, impaginato come un kolossal storico. Con questi si susseguono dipinti e sculture di artisti del tempo, tesi a narrare angosce sia sociali sia esistenziali come, tra gli altri, i divisionisti Angelo Morbelli, Gaetano Previati ed Emilio Longoni o gli scultori Leonardo Bistolfi, Pietro Canonica e Libero Andreotti. La seconda sezione guarda alla «Realtà delle guerra»: qui, specialmente nella stagione interventista, scorrono lavori dei futuristi Balla, Boccioni, Carrà, Sironi, Severini, Russolo, Bisi Fabbri, e per il tempo della guerra, opere di Sartorio, Achille Beltrame, Plinio Nomellini, Duilio Cambellotti e altri. Chiude il percorso la sezione «Mito e celebrazione della Vittoria» dove, tra molti maestri del tempo (Adolfo Wildt, Ettore Ximenes, Eugenio Baroni, Mario Sironi, Arturo Martini e ancora Previati, Bistolfi, Canonica) si impone per dimensioni e novità il ciclo della «Vittoria» di Galileo Chini, eseguito per la Biennale del 1920 e mai più esposto. In contemporanea, alle Gallerie d’Italia-Palazzo Leoni Montanari a Vicenza e a Palazzo Zevallos Stigliano a Napoli vanno in scena rispettivamente le mostre «La Grande Guerra: i luoghi e l’arte feriti», sulle devastazioni anche sul patrimonio artistico (come i gessi canoviani di Possagno), e «La Grande Guerra. Società, propaganda e consenso», con manifesti del tempo, a cura di Francesco Leone e Anna Villari.
 
 

 
 

Ada Masoero, 03 marzo 2015 | © Riproduzione riservata

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