Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoli«Costume Couture: Sixty Years of Cosprop»: dal 26 settembre all’8 marzo 2026 il Fashion and Textile Museum di Londra celebra l’arte del costume nella decima musa: il cinema (e la televisione) e la «magia» di ricreare l’immagine, il colore, il sapore, l’odore perfino, di epoche lontane. Con i costumi realizzati per film e serie tv quali «Piccole donne», «Emma», «Napoleon», «The Golden Bowl», «The House of Eliott», «Mr Selfridge», «Peaky Blinders» e altri, la mostra racconta la storia di Cosprop, la sartoria londinese di costumi per cinema, tv e teatro di fama mondiale. Guidata dal suo fondatore, il costumista premio Oscar e Bafta John Bright, dal 1965 veste attrici e attori celebri e anonime comparse con costumi capolavoro di sartoria storica e artistica e di alto artigianato.
Il costume è elemento cruciale di qualsiasi produzione teatrale, cinematografica e televisiva perché condiziona il coinvolgimento del pubblico. Cosprop ha mostrato fin dagli esordi una filosofia e un approccio di estremo rigore esegetico: i costumi (legati a produzioni pluripremiate) si sono distinti da subito per l’attentissima autenticità storica e per la documentazione artistica di cui si avvalgono, essendo tutti riconducibili ad abiti storici reali e realizzati in tessuti naturali di qualità (le fibre sintetiche sono off-limits perché inesistenti in passato): lana, seta, cotone, mussola, velluto, damasco, raso, in molti casi prodotti con gli stessi metodi utilizzati dalle tessiture e i sarti dell’epoca. Ricerca, cura e attenzione ai dettagli imprescindibili anche per quei capi di abbigliamento che raramente si vedono: corsetti, busti, sottovesti e camicie, indispensabili anch’essi a creare veridicità storica.

La stanza degli accessori a Cosprop. © Paul Bulley
Il percorso di Cosprop inizia dalla «silhouette»: su di essa si costruisce pezzo a pezzo tutto il costume sin da biancheria e corsetteria: la sottogonna a cerchi e la crinolina dell’abito vittoriano, le stecche di balena edoardiane, le cuciture rinforzate dell’eleganza Regency. Nei costumi in mostra, antologia di produzioni cinematografiche, televisive e teatrali di livello mondiale dagli anni 1960 ad oggi, figurano l’abito da sposa in seta con cintura e cappello ricamato indossati da Meryl Streep in «La mia Africa», i costumi estrosi di «Pirati dei Caraibi», le sontuose vesti di velluto di Cate Blanchett in «Elizabeth» o quelle di Maggie Smith in «Downton Abbey», lo stile di Colin Firth-Mr. Darcy in «Orgoglio e pregiudizio» e l’incantevole trasformazione anni 1950 di Leslie Manville in «La signora Harris va a Parigi».
La mostra sottolinea inoltre il ruolo del costume nello sviluppo narrativo poiché anche i minimi dettagli del costume possono sostenere in modo subliminale la narrazione: ad esempio in «Ritratto di Signora», Nicole Kidman-Isabel Archer si trasforma da giovane ereditiera di americana naïveté in una «signora di qualità» oppressa da un matrimonio sbagliato proprio nello specchio dei suoi abiti sempre più elaborati e costrittivi, mentre in «Camera con vista», Lucy Honeychurch interpretata da Helena Bonham-Carter è vestita con abiti leggeri e informali per simboleggiare natura romantica e spirito libero in contrasto con gli abiti più rigidi e sussiegosi di Maggie Smith, la più anziana cugina Charlotte (in questo caso, entrambi i costumi addirittura mescolano ai capi realizzati ad hoc pezzi edoardiani originali della collezione storica Cosprop).
La mostra illustra anche i dettagli tecnici della realizzazione dei costumi: schizzi, figurini, libri di campioni, bozzetti preparatori e progetti finali anche per le finiture con l’applicazione a mano di perline, strass, pizzi, i ricami e la modisteria, con gli abiti montati su manichini e quasi sempre realizzati a mano (e da una sola persona), nell’iter identico a quello d’ un atelier di Alta Moda,
Una volta realizzati, i costumi vengono «sgualciti» in cui «sgualcire il costume» è la specifica tecnica utilizzata per dare «anima» all’abito così che appaia indossato e vissuto, a enfatizzare professione, status sociale ed emozione interiore, ambiente circostante o vicende del personaggio.
Tutti passi irrinunciabili per creare l’indefinibile «magia temporale» dei costumi Cosprop, che Judy Dench definisce «un luogo fatato» dove, aggiunge Helena Bonham-Carter, «siamo entrati noi stessi e usciti il personaggio da interpretare».

Il costume per Karen Blixen, interpretata da Meryl Streep, in «La mia Africa» (1985), disegnato da Milena Canonero. © Cosprop - Jon Stokes / Julia Buckmiller

Il costume per Elizabeth, interpretata da Cate Blanchett, in «Elizabeth» (1998), disegnato da Alexandra Byrne. © Cosprop - Jon Stokes / Julia Buckmiller