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Joanna Moorhead
Leggi i suoi articoliIeri all’arrivo di Samar Abu Elouf all’inaugurazione della mostra di Amsterdam in cui la sua foto, vincitrice del World Press Photo 2025, era al posto d’onore l’atmosfera non era festosa. Il soggetto della foto premiata è un bambino, Mahmoud Ajjour, allora di nove anni e ora di dieci, che poco più di un anno fa ha perso entrambe le braccia in un attacco israeliano a Gaza. Quando l’ha scattata, Abu Elouf dice di aver pensato ai suoi quattro figli, il più piccolo dei quali ha 12 anni: «Quando vedo Mahmoud, penso a lui come se fosse mio figlio».
Abu Elouf è originaria di Gaza: come molti dei soggetti delle sue fotografie è stata evacuata dal territorio e ora vive nello stesso complesso di Doha dove Mahmoud abita con la sua famiglia. «Lo vedevo guardare i bambini che giocavano e sentivo il suo dolore», racconta. Quando Mahmoud ha accettato di farsi fotografare, Abu Elouf ha chiesto alla madre di chiamarla in un momento in cui il sole avesse illuminato il loro appartamento; il risultato è un’immagine che ricorda i busti classici, che mette in risalto il volto pensieroso di Mahmoud senza nascondere la terribile realtà delle sue ferite.
Quest’anno ricorre il 70mo anniversario del premio, cui hanno concorso 59.320 fotografie presentate da 3.778 fotografi da 141 Paesi, e il successo di Abu Elouf sottolinea la politica della direttrice di World Press Photo, Joumana El Zein Khoury, di supportare i fotoreporter che fanno parte della loro comunità, anziché gli occidentali che arrivano, scattano foto e tornano a casa. Khoury, di origini libanesi, ha assunto questo ruolo cinque anni fa: «Quando sono arrivata, dice, ho pensato: come possiamo chiamarci World Press Photo quando la maggior parte dei nostri vincitori proviene dall'Europa e dagli Stati Uniti e sono uomini bianchi?».
Per favorire una partecipazione più ampia, Khoury ha diviso il mondo in sei regioni, consentendo ai fotografi di partecipare per l’area in cui hanno realizzato il loro lavoro. Nel frattempo i giurati sono stati scelti in modo da riflettere la diversità delle regioni. «La valutazione è “cieca” e anonima, spiega, ma questi cambiamenti hanno aggiunto un altro livello al funzionamento del premio». Nel primo anno dopo l’introduzione delle modifiche, l’80% dei vincitori che sono arrivati alla fase finale erano dello stesso luogo della storia che raccontavano. «Ne sono orgogliosa», chiosa Khoury.
L’immagine di Abu Elouf è tra le oltre 140 fotografie in mostra (da oggi 18 aprile al 21 settembre) alla Nieuwe Kerk di Amsterdam. La mostra toccherà poi varie sedi in tutto il mondo e, come di consueto, metterà in evidenza i principali eventi e le crisi dell’anno passato: dal tentato assassinio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump in Pennsylvania lo scorso luglio, catturato da Jabin Botsford per «The Washington Post», all'esaurimento delle scorte di sardine nel Lago Kivu, al confine tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, immortalato da Aubin Mukoni; da una fotografia della piccola Anhelina, una bimba ucraina di sei anni traumatizzata, scattata da Florian Bachmeier, ai manifestanti che l’estate scorsa hanno partecipato alla rivolta giovanile in Kenya, immortalati da Luis Tato per l’Agence France-Presse.
Un’altra mostra in programma per settembre, sempre in diverse sedi in tutto il mondo, metterà in luce eventi e fotografie significativi dal 1955, anno di fondazione del World Press Photo, nonché la natura mutevole della fotografia e dei valori che la circondano.

Samar Abu Alouf, «Mahmoud Ajjour, nove anni». © Samar Abu Elouf, per «The New York Times»

Florian Bachmeier, «Beyond the Trenches». © Florian Bachmeier

Aubin Mukoni, «The Lake has fallen Silent». © Aubin Mukoni

Luis Tato, «Kenya’s Youth Uprising». © Luis Tato, Agence France-Presse