A cent’anni dall’arrivo di Felice Carena (Torino, 1879-Venezia, 1966) a Firenze, dove nel 1924 assume per un ventennio la cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze, la mostra nel Palazzo Medici Riccardi, «Felice Carena, vivere di pittura» a cura di Elena Pontiggia e Luigi Cavallo (fino al 16 febbraio 2025, catalogo Edifir), nasce da un’idea di Magda Grifò, pronipote dell’artista, con il coordinamento di Valentina Zucchi, con opere che documentano l’attività dell’artista torinese fino agli anni maturi, quando si trasferirà a Venezia.
La stagione fiorentina coincide con riconoscimenti internazionali, tra cui la sala personale alla Biennale di Venezia del 1926, il premio Carnegie a Pittsburgh vinto nel 1929 con «La scuola» fino al Gran Premio a Venezia, nel 1940. A Firenze, Carena prende parte al gruppo novecentista fiorentino, fondato da Raffaello Franchi (vicino al «Novecento» milanese di Margherita Sarfatti), ma continua a mantenere stretti rapporti con Roma e l’ambiente delle Secessioni degli anni Dieci che lo aveva visto protagonista. La «tersa e nitida atmosfera», come la definisce, della città toscana, gli insegna una «semplicità asciutta e solenne», che rafforza il suo interesse per la tradizione pittorica dei grandi maestri, seppur filtrata attraverso la cultura francese dell’Ottocento, mediando ispirazione classica e attenzione alla natura, per poi giungere invece ad accenti espressionisti nelle opere dopo gli anni Quaranta.
Il percorso, suddiviso in sezioni tematiche, si apre con molti ritratti, perlopiù inediti, grazie alla collaborazione con gli eredi; in «La famiglia» del 1927 Carena adotta un’iconografia poco diffusa, autoritraendosi al cavalletto ma insieme ai suoi affetti più cari, testimoniando la tensione verso un’arte «impressa di un’umanità sempre maggiore», che si riflette anche in altri soggetti e si riversa poi nella didattica. Carena ricrea una sorta di bottega rinascimentale in cui la conoscenza teorica dei testi si lega alla pratica del dipingere insieme e si arricchisce della conoscenza di maestri contemporanei e di artisti emergenti, tra cui Guttuso, Felice Casorati, de Chirico, Morandi, Carrà, Marino Marini, grazie all’acquisto di centinaia di disegni che dal 1936 egli fa per l’istituzione. In «La scuola» (1928) la modella nuda al centro, nella posa di una Venere antica, è circondata dagli allievi: il dipinto giunge a Palazzo Medici Riccardi (nella sezione degli echi classici), dopo esser stato esposto per oltre un mese all’Accademia di Belle Arti, nella mostra che era parte dello stesso progetto, ma con la curatela di Raffaella Campana e di Susanna Ragionieri e catalogo autonomo («Felice Carena, pittore e maestro all’Accademia di Belle Arti»).
La produzione degli anni fiorentini risente della collaborazione alla rivista «Solaria», dove immagini e testi poetici sono uniti in una tessitura molto singolare; realizza inoltre scenografie per il Maggio Musicale e istituisce così in Accademia la cattedra, affidandola a Gianni Vagnetti. Nel trattare la figura seguiamo il passaggio dalla purezza formale degli anni Venti alla corporeità resa invece nella sua fragilità, ma anche nel suo peso, degli anni Quaranta; analogo svolgimento, verso forme in cui la materia tende a sfaldarsi nella luce, è nelle tele di soggetto sacro, dalla «Susanna» del 1924 alla «Deposizione» del 1955. Specie al periodo maturo appartengono le silenti composizioni di conchiglie, libri, vasi, frutta.