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Peter Baldazar Bouttats, «Cassa reliquiario di Santa Rosalia», da J. Silting, «Acta S. Rosaliae Virginis…», Antwerp 1748

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Peter Baldazar Bouttats, «Cassa reliquiario di Santa Rosalia», da J. Silting, «Acta S. Rosaliae Virginis…», Antwerp 1748

La percezione dell'arte siciliana dei francesi

Le arti decorative siciliane attraverso l'analisi delle fonti dai viaggiatori francesi tra XVII e XIX secolo

Paola Venturelli

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Nell’editoria non mancano certo resoconti di viaggi in Italia, anche in Sicilia, né tanotmeno libri sul Grand Tour. Mancava invece un libro come quello di Sergio Intorre e il taglio, del tutto inedito, attraverso cui ha guardato questi resoconti, focalizzandosi esclusivamente sul tema delle arti decorative. Dopo avere analizzato in una precedente pubblicazione gli scritti dei turisti inglesi e irlandesi, Intorre si dedica qui all’analisi delle fonti francesi tra XVII e XIX secolo. Fonti diverse tra loro, perché gli occhi che guardano e registrano sono diversi. Più o meno frettolosi, più o meno colti e motivati. Ci sono anche gli artisti. Inaugurando il Voyage Pittoresque resocontano oltre che con la parola con i disegni, gli schizzi, i dipinti e le incisioni.

L’Autore non si limita però solo alla selezione di brani. Insegue gli oggetti citati e descritti dai viaggiatori identificandoli, per restituirceli attraverso immagini e piccole ricerche monografiche. Ma cosa può ricercare un Francese, qual è la sua percezione di un’arte così particolare come quella siciliana, dove si mescolano e stratificano culture diversissime e si lavorano materiali altrettanto particolari, dal corallo, ai cammei, all’ambra, ai marmi mischi, agli stucchi, realizzando composizioni plastiche imponenti in metallo prezioso per onorare i santi locali?

Si ha l’impressione che in generale i viaggiatori francesi non comprendano la vera essenza delle arti decorative siciliane. Sono attratti da lavorazioni e modalità escutive, informano su costi e prezzi, finendo però soprattutto per apprezzare opere vicine agli ideali di stampo classicista. Il letterato e diplomatico di stanza all’ambasciata francese di Napoli Dominique Vivant Denon, in Sicilia nel 1778, visitando Messina giudica la policromia variegata di marmi mischi dell’altare maggiore della cattedrale «un capolavoro di cattivo gusto», soffermandosi invece sulla «grande magnificenza» dell’altare in argento e bronzo dorato del Duomo di Monreale eseguito dall’orafo romano Luigi Valadier, di evidente stampo neclassico.

Léon Dufournay, futuro conservatore del Louvre e famoso progettista dell’Orto Botanico di Palermo, città dove soggiorna per ben quattro anni, tra 1789 e 1793, invece, pur essendo imbevuto dallo spirito neclassico e illumista, diversamente da altri connazionali si apre all’arte araba, apprezzando lo scrigno in avorio della Cappella Palatina, datato tra XII e XIII secolo di cultura fatimida; nota i pavimentali in maiolica dipinta delle dimore nobiliari palermitane, «di ottimo gusto», augurandosi che in Francia venssero a sostuire le «banali mattonelle dipinte in rosso o in giallo» e reputa i fastosi marmi mischi della chiesa di santa Cita «eccezionali», apprezzando gli altari delle chiese palermitane in pietre dure policrome.

Gli stucchi di Giacomo Serpotta («pitture in rilievo») gli piacciono tuttavia se si avvicinano nella resa formale ai canonici classici: «peccato che un simile talento non sia stato nutrito con l’aiuto de grandi modelli dell’antichità». Se fino agli anni ‘60 del XVIII secolo per i Francesi la Sicilia oscilla tra una terra fuori dal tempo e l’ultimo avamposto della Grecia classica, più ci si inoltra nel XIX secolo più i resoconti diventano simili tra loro, con una standardizzazione delle opere censite e dei luoghi.

Rimane grande ad ogni modo l’attrazione per le feste religiose, per le pratiche di culto di stampo popolare con il trasporto delle statue rivestite da ex voto preziosi, come lo straordinairo reliquiario a busto di sant’Agata della cattedrale di Messina. Lo scrittore e insegnante Jules Fleutelot nel 1836 descrive per esempio la festa per la Madonna di Trapani e il «carro a forma di navicella» che porta la statua della Vergine, emblema della devozione barocca siciliana. Si tratta della particolare tipologia del carro trionfale «a nave» su cui si modellano molte opere in corallo trapanesi e palermitane, frequentemente disegnate dagli stessi architetti che preparavano le strutture mobili per le feste cittadine, come il «Trionfo con Maria e il Risorto» della fine del XVII secolo, su disegno di Paolo e Giacomo Amato, figura importante del barocco siciliano.

È Paolo Amato con l’allievo Andrea Palma a realizzare la straordinaria decorazione parietale in marmi policromi della chiesa palermitana di santa Maria Valverde, tra 1694 e 1716, ammirata a metà Ottocento dall’ erudito Lacques Boucher de Crèvecœur de Perthes, ammaliato dalle «pietre dai colori brillanti di cui la Sicilia è così ricca», «impiegate qui nel modo più felice».

La Grandeur & la Beauté. Le Arti Decorative siciliane nei diari dei viaggiatori francesi tra XVII e XIX secolo,
di Sergio Intorre, prefazione di Geneviève Bresc Bautier, 188 pp., ill. col., Palermo University press - OADI Digitalia, Palermo 2021, 55.000.

Peter Baldazar Bouttats, «Cassa reliquiario di Santa Rosalia», da J. Silting, «Acta S. Rosaliae Virginis…», Antwerp 1748

Paola Venturelli, 22 agosto 2021 | © Riproduzione riservata

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