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Indomabile e ricca di una freschezza inventiva sempre rinnovata, a 87 anni Grazia Varisco presenta nuovamente la sua ricerca da M77, a Milano, cinque anni dopo l’ultima personale qui. Lo fa in un progetto inedito intitolato «Riflessioni» (dal 6 ottobre al 17 gennaio 2026) in cui il curatore, Francesco Tedeschi (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, direttore del Centro di Ricerca sull’Arte Astratta in Italia), che firma anche il catalogo, mette in dialogo sue opere storiche con lavori recenti, allestendole in due installazioni progettate per questi spazi, in un confronto che pone l’accento sul tema fondante (e pionieristico) del lavoro dell’artista: la relazione fra spazio, tempo e percezione.
Le due strutture effimere site specific alterano deliberatamente la percezione dello spazio della galleria, mentre ci interrogano sul «rapporto tra fisicità e impermanenza». E proprio la precarietà è il filo che lega le due opere esposte al piano terreno, dove ci s’imbatte nel pannello orizzontale «Toccata e fuga-Tra…guardo» (1980), un collage di fotocopie che è un’astrazione del lavoro «Between», e in «Tra…guardo» (2013), mentre nel corridoio laterale sono esposti alcuni esempi della sua prima ricerca di giovane artista aggiornata, che in quei pieni anni ’50 la vedono lavorare con la materia. Salvo compiere presto il passo che, consapevole com’era del venir meno delle ragioni che nel dopoguerra avevano dato vita all’Informale, la conduce dalla materia alla «smaterializzazione» della luce. C’è anche lei, infatti, unica donna in un gruppo per il resto tutto al maschile (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi) fra i fondatori a Milano del Gruppo T (dove «T» sta per tempo), che dal 1959 sperimenta un nuovissimo modello di arte «cinetica e programmata», sempre in rapporto con compagini di artisti italiani ed europei altrettanto sperimentali, come il Gruppo N di Padova, il Grav in Francia, il Gruppo Zero in Germania e Nove Tendencije a Zagabria.
Il Gruppo T si scioglierà una decina d’anni dopo e ognuno prenderà la sua strada ma lascerà un’impronta sul lavoro successivo di ciascuno, che in Grazia Varisco più che mai si materializzerà nell’imperativo di coinvolgere il pubblico («artista come me», scrive lei nella «Quasi autobiografia»), invitato pertanto a toccare («si prega di toccare!» l’avvertimento) e a «vivere» l’opera d’arte.
In mostra, l’opera «Schema luminoso variabile “R. VOD”», (1965), segna la cerniera con la nuova dimensione linguistica, manifesta nell’installazione con le opere del ciclo «Between» (1973-1981; scaturito dall’esperienza della mostra del 1969 «Campo urbano»), sorta di effimere palizzate da cantiere dalle cui connessure emergono specchi che aprono verso un altrove. La seconda installazione si trova al piano superiore ed è tutta giocata sugli specchi: «elementi lineari specchianti, spiega l’artista, che ruotano generando immagini scomposte e asincrone, proponendo riflessioni sul passato e sul futuro che non trovano una definizione univoca e lasciano spazio all’interpretazione di chi osserva».

Grazia Varisco, «Oh! Sollevo Sollievo», 2002