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Uno still dal video «Do U Dare», 2025, di Shirin Neshat

Courtesy of Galleria Lia Rumma, Milano-Napoli

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Uno still dal video «Do U Dare», 2025, di Shirin Neshat

Courtesy of Galleria Lia Rumma, Milano-Napoli

La silenziosa ribellione di Shirin Neshat

Parallelamente alla retrospettiva al Pac, da Lia Rumma a Milano una videoinstallazione dell’artista iraniana segue il viaggio simbolico di una giovane nei meandri dell’identità e del controllo sociale

Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Mentre il Pac di Milano è abitato, fino all’8 giugno, dalla grande e potente mostra di Shirin Neshat, in cui vanno in scena trent’anni del suo lavoro dalla celebre serie fotografica di denuncia «Women of Allah» (1993-97) fino a oggi, Lia Rumma presenta (dal 17 maggio fino al 26 luglio) il suo progetto «Do U Dare!», che prende il titolo dalla video-installazione immersiva posta al centro della mostra: un lavoro provocatorio, com’è nelle corde dell’artista iraniana (da tempo attiva tra il suo Paese e gli Stati Uniti), donna combattiva e coraggiosa che qui si interroga «sulla mercificazione dell’identità, l’ascesa dell’autoritarismo e la fragile linea di demarcazione tra il sé e lo spettacolo». 

Per farlo, si serve della figura di una giovane donna iraniana, Nasim, che l’artista ci presenta nel suo vagabondare attraverso le aree di New York più fittamente abitate dagli immigrati, sempre osservata, lei come il resto della folla, da un politico che si affaccia da monitor diffusi un po’ ovunque. Sarà proprio lui, il politico, la persona che Nasim, sgomenta, incontrerà alla fine del suo itinerario, sentendolo pronunciare un discorso pieno di sola retorica a una folla di immigrati dal volto segnato dalla fatica e dalla disillusione. Ma il suo viaggio non è finito, perché la protagonista in seguito entra in un assurdo negozio di parrucche dove una folla di manichini diventa l’omologo, inanimato, dell’umanità: bambole che, di fatto, sono il «doppio» di esseri umani spersonalizzati e infine frantumati, mutilati, in un processo di costante sopraffazione. Nasim stessa si fonde con il suo doppio di porcellana (che sia lei lo provano le stesse cicatrici) e in questo passaggio ritroverà l’autodeterminazione che aveva perduto, affidandosi a una ribellione non violenta ma assertiva. Come spiega l’artista, «il viaggio di Nasim è una metafora del risveglio che tutti noi dobbiamo affrontare. In un'epoca di teatrino politico e di identità gestite, Do U Dare!” non chiede una ribellione rumorosa, ma il coraggio di vedere, e infrangere, gli inganni che ci vincolano».

Insieme all’installazione sono in mostra le immagini fotografiche che presentano, anch’esse, figure umane trasformate in inquietanti bambole di porcellana dai volti spettrali. E la domanda che, ancora una volta, l’artista si pone (e pone agli osservatori) è: «Quanto le nostre identità sono plasmate da forze invisibili? L’autonomia può sopravvivere in un mondo in cui le vite sono confezionate e accantonate?». Molto più, dunque, che «semplici» fotografie.

Shirin Neshat, «Aidan», 2025. Courtesy of Galleria Lia Rumma, Milano-Napoli

Shirin Neshat, «Hand #3», 2025. Courtesy of Galleria Lia Rumma, Milano-Napoli

Ada Masoero, 14 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

La silenziosa ribellione di Shirin Neshat | Ada Masoero

La silenziosa ribellione di Shirin Neshat | Ada Masoero