Ben Luke
Leggi i suoi articoliLa nuova piattaforma della «Galleria South South», dedicata all'arte del Global South, viene lanciata il 24 febbraio con l'evento di vendita in real-time «South South Veza» che riunirà oltre 50 gallerie dai cinque continenti utilizzando la tecnologia delle aste online. Ad accompagnare l'evento ci saranno una serie di talk e think tank, tra cui «Institutional Hybridity» (fino al 7 marzo) guidati dalla curatrice e direttrice di «The Showroom» di Londra, Elvira Dyangani Ose, che esaminerà come le istituzioni culturali possono affrontare le questioni della sostenibilità.
Abbiamo parlato con Elvira Dyangani Ose prima del lancio per scoprire gli artisti, i musicisti, i libri e gli eventi culturali che hanno più influenzato la sua vita.
Se potessi vivere con una sola opera d'arte, quale sarebbe?
Non sono mai stata brava in queste cose. Tuttavia, questa pandemia, con l'impossibilità di sperimentare i lavori in carne e ossa ed i vincoli dello schermo piatto dei computer, mi ha fatto riflettere molto sulla mia prima visita agli Uffizi di Firenze e la scoperta della «Calunnia» di Botticelli (1495). Ho pensato allora a tutto ciò che si è perduto con le lezioni di storia dell'arte in questi mesi, dove le immagini sono state vissute solo nella dimensione della loro rappresentazione. Non avrei mai capito la straordinaria maestria di quell'opera se non l'avessi visitata di persona. Ricordo di essere rimasta senza fiato in sua presenza. È successo solo due volte nella mia vita.
Quale esperienza culturale ha cambiato il tuo modo di vedere il mondo?
Durante il mio primo viaggio a New York, ho avuto la rara opportunità di trascorrere la giornata in città con l'artista David Hammons. Mi ha guidato in un tour straordinario comprendente aree chiave e punti di riferimento nei vari distretti, ascoltando la radio davanti alle case di arenaria ad Harlem, visitando il suo studio e altri tra cui quelli di Ann Craven, Ed Clark, Steve Rand e Stanley Whitney. Mi fa pensare al fatto che la retrospettiva di un artista - di solito il lavoro che lui o lei hanno prodotto nella loro vita - potrebbe in realtà essere solo la somma delle conversazioni che si verificano in un giorno.
Quale libro ha sfidato di più il tuo pensiero?
«Poetics of Relation» di Édouard Glissant (1990). Da quando l'ho letto, ne sono rimasta affascinata mentre continuo a perseguire aspetti della sua estetica circa il chaos-monde (caos-mondo) e a seguire la sua intenzione poetica: quella che spinge ad abbracciare la totalità dentro di noi che è direttamente in contatto con il tutto possibile. Lui è una persona che considera l'incertezza una caratteristica positiva.
A quale scrittore o poeta ti rivolgi di più oggi?
Audre Lorde. In particolare, la dichiarazione nel [suo libro del 1984] «Sister Outsider»: «Forse per alcuni di voi qui oggi, io sono il volto di una delle vostre paure. Perché sono una donna, perché sono nera, perché sono lesbica, perché sono me stessa - una poetessa guerriera nera che fa il suo sporco lavoro – e che viene a chiederti, stai facendo il tuo?». Questo interrogarsi sul fatto che uno stia o meno facendo il proprio lavoro, contro le tirannie che ci ingoiano giorno dopo giorno, ci ricorda sempre che nulla è garantito.
Che musica o altro ascolti mentre lavori?
Musica strumentale, ultimamente molta LoFi. Tra questi, Hypnotic Brass Ensemble, ma anche e sempre, sempre, jazz: Thelonious Monk's Live in Stockholm 1961, potrei dire.
Cosa stai guardando, ascoltando o seguendo che consiglieresti?
Leggo, ascolto e guardo tante cose contemporaneamente: per le serie TV «Watchmen» e «Tales from the Loop» sono tra le ultime novità. Gli account Instagram degli artisti Frida Orupabo e Enorê.
A cosa serve l'arte?
L'arte è una forma di narrazione. E come tale ha uno scopo: creare una consapevolezza critica intorno ad idee e circostanze specifiche, o provocare una sorta di reazione da parte del pubblico, non importa quale. L'apatia stessa può essere una risposta al lavoro.
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