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Federico Florian
Leggi i suoi articoliLa stupidità, a detta di Judith Hopf, è la miglior forma di intelligenza. Un sottile e leggero senso del farsesco pervade i lavori dell’artista tedesca, classe 1969: basti pensare alle sue pecore di cemento, calchi di scatoloni per traslochi su cui l’artista disegna musi dalle variegate espressioni, collocati su sottili zampe d’acciaio («Flock of Sheep»); oppure agli impacciati personaggi dai costumi a forma di uova giganti che popolano i suoi video, e che sembrano tradurre in chiave contemporanea l’immediata comicità del cinema degli esordi. Un’ironia, quella della Hopf, che rappresenta una forma di resistenza alla durezza della realtà contemporanea (e al severo concettualismo che investe certa arte di oggi). La «stupidità» diviene così principio estetico, strumento creativo capace di conferire a un’opera d’arte la giusta dose di freschezza e ilarità.
La kaufmann repetto le dedica, dal 25 novembre a fine gennaio, una personale realizzata in concomitanza con una sua antologica alla Neue Galerie di Kassel. L’esposizione indaga il paradosso dell’informazione moderna: il surplus di dati e notizie che caratterizza l’era digitale non comporta necessariamente una maggiore efficacia dell’informazione; al contrario produce nel fruitore confusione e disattenzione. Nel suo «Contrat entre les hommes et l’ordinateur» la Hopf dichiara: «Siamo capaci di produrre più di quanto percepiamo e quindi più di quanto siamo capaci di percepire. In questo modo, continua, diventiamo schiavi non tanto delle nostre macchine, quanto delle nostre risorse percettive».
Tra i lavori in mostra un gruppo di serpenti cementificati, le cui rigide silhouette ricordano sculture costruttiviste. Il serpente, secondo il filosofo francese Gilles Deleuze, è simbolo della società del controllo: è metafora dell’uomo contemporaneo, che serpeggia con moto ondulatorio nelle maglie di una rete in costante cambiamento. La Hopf traduce quest’immagine in sculture aspre e legnose: simili agli «snake» che abitavano gli schermi dei primi computer, queste creature di cemento sono vittime del controllo esercitato dalla società dell’informazione, libera soltanto in apparenza.
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