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Kerry James Marshall, «Untitled» (dettaglio), 2006

Credit Yale University Art Gallery

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Kerry James Marshall, «Untitled» (dettaglio), 2006

Credit Yale University Art Gallery

La sublime mostra di Kerry James Marshall alla Royal Academy: «Cerco sempre di fare in modo che la bellezza e l’orrore coesistano nella stessa immagine»

Kerry James Marshall esplora memoria, storia e identità nera in «The Histories», retrospettiva alla Royal Academy visitabile fino al 18 gennaio 2026

Nicoletta Biglietti

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Non solo pittura o «nostalgia», ma presenza, racconto e memoria. Kerry James Marshall apre con questo intento la retrospettiva londinese, dal titolo The Histories e visitabile fino al 18 gennaio 2026, alla Royal Academy. Una mappatura di settanta opere che indaga la sua carriera, i suoi riferimenti e le sue «innovazioni», con un avvertimento preciso: la pittura può ancora raccontare ciò che è stato ignorato. Scuotere la memoria e trasformare il passato in un «campo di battaglia». 

Nato a Birmingham, Alabama, nel pieno delle tensioni razziali, e cresciuto a Los Angeles dal 1963, Marshall si avvicina all’arte grazie a un album di ritagli mostratogli da una maestra. La sua prima esperienza internazionale arriva invece davanti a «Guernica» di Picasso. Il quadro, simbolo dell’orrore bellico, lo convince a raccontare la storia nera con la stessa intensità. «Ho capito che la pittura poteva essere un’arma – dirà più tardi. Non un’arma di distruzione, ma di definizione». È questo il filo che la mostra londinese riprende e amplifica: il modo in cui Marshall, muovendosi tra tradizione storica occidentale, cultura pop, fantascienza e riferimenti personali, trasforma ogni quadro in un manifesto in cui passato e presente si sovrappongono. Memoria e immaginazione dialogano.

Fin dai primi anni Ottanta Marshall definisce la sua cifra: figure nere su sfondi scuri, quasi invisibili, come si nota in «A Portrait of the Artist as a Shadow of His Former Self» (1980). Da qui nasce la sua «retorica del nero»: non un colore, ma una dichiarazione. «Il nero non è riduttivo. È un’affermazione di complessità. Ogni variazione di nero è una possibilità di rappresentazione, un modo per restituire profondità a chi è stato reso invisibile», spiega. Questa idea si traduce subito in immagini difficili da ignorare. Non a caso, quando nel 1984 il collezionista Steven Lebowitz acquista il ritratto dell’artista per 850 dollari, l’opera viene giudicata «troppo radicale» e finisce appesa in un bagno per oltre venticinque anni – prima di essere donata al Los Angeles County Museum of Art nel 2019.

Negli anni Novanta, Marshall cambia passo. Esplora la tratta degli schiavi, l’eredità dei movimenti afroamericani e la memoria collettiva di un popolo. In «Great America» (1994), ad esempio, trasforma la tragedia della deportazione africana in un «lunapark». Il divertimento, però, si incrina: in quella barca – diretta verso un tunnel infestato da fantasmi – riaffiora la storia disturbante, travestita da attrazione. È un trauma collettivo quello che Marshall rilegge attraverso la lente della cultura pop, restituendogli la forza di un’allegoria contemporanea. Non stupisce quindi che l’opera sia stata acquisita nel 2011 dalla National Gallery of Art di Washington: un riconoscimento che sancisce la centralità dell’opera nella riflessione americana sull’identità, la memoria e il potere delle immagini.

Kerry James Marshall, «School of Beauty, School of Culture», 2012, Birmingham Museum of Art. © Kerry James.

«Cerco sempre di fare in modo che la bellezza e l’orrore coesistano nella stessa immagine. È così che funziona la memoria: non cancella mai del tutto il dolore» afferma. Ed è proprio da questa tensione che nasce la forza del suo lavoro. Marshall non smette di interrogare la storia, ponendosi sempre al confine tra tradizione e riscrittura. Nei suoi quadri, il dialogo con i maestri del passato è costante: Seurat, Velázquez, Holbein, Manet. Tutti riemergono, trasformati, dentro una visione nuova. In «School of Beauty, School of Culture» (2012), ad esempio, ambienta la scena in un salone di bellezza brulicante di colori e dettagli. Sulle pareti, poster pubblicitari che celebrano la bellezza nera e citazioni sottili del mondo dell’arte — persino un richiamo a una mostra di Chris Ofili alla Tate Britain. Davanti allo specchio, una testa femminile deformata in prospettiva anamorfica ricorda «The Ambassadors» di Holbein; un lampo di luce riflesso nello specchio rimanda a «Las Meninas» di Velázquez. Pittura, cultura e quotidianità si intrecciano. Marshall riafferma così un principio semplice ma radicale: la rappresentazione conta. E la visibilità della cultura nera è, ancora una volta, un atto politico.  

Tra gli altri lavori chiave della retrospettiva, «The Academy» (2012) emerge subito per intensità. Un modello maschile saluta con il simbolo del Black Power, pugno chiuso alzato in aria, e accanto a lui, sul tavolo, una borsetta e una piccola bambola ispirata a una figura nkisi nkondi del popolo Kongo. Sono dettagli che intrecciano storia, cultura e spiritualità africana. «La mia ambizione – dirà – è costruire un museo immaginario in cui la gente nera occupi il centro della scena, non il margine». Ogni gesto, oggetto e posa sembra infatti misurare il peso della storia e della rappresentazione. Come nota il curatore Mark Godfrey, l’opera racconta anche il rapporto di Marshall con le istituzioni educative, un dialogo tra formazione artistica e identità culturale. Da questa riflessione prende forma anche «Invisible Man» (1986), altro punto cardine della mostra. Qui Marshall affronta la visibilità dei soggetti neri, sfida la costruzione storica di un’identità razziale e porta il figurativo al limite dell’astrazione. L’opera dialoga con la Négritude, il movimento francofono che celebra la spiritualità africana e rivendica dignità rispetto alla cultura occidentale. Perchè nell’opera il nero non è solo colore. È presenza, affermazione. È visibilità storica di soggetti esclusi dalla pittura tradizionale.

La mostra si chiude con cicli fondamentali come «Vignette» (2003–2014). dove scene dense di oggetti, dettagli e gesti quotidiani restituiscono dignità e centralità a chi è stato cancellato dalla storia dell’arte. Qui la memoria della schiavitù e la resistenza afroamericana si intrecciano in una quotidianità che diventa racconto epico, personale e collettivo. A proseguire questa riflessione è «Black Painting» (2003) che sposta lo sguardo in una camera da letto immersa nella penombra. Corpi addormentati, masse indistinte, oggetti sparsi: la tensione è silenziosa ma palpabile. Tra loro, una copia di  «If They Come in the Morning» di Angela Davis ricorda la consapevolezza politica dei soggetti.

In tutta la sua carriera Marshall non ha mai ignorato il valore economico delle sue opere: nel 2018 «Past Times» (1997), ad esempio, è stato venduto all’asta per 21,1 milioni di dollari – cifra record per un artista afroamericano vivente, e nel 2022, David Zwirner ha venduto un dipinto della serie Black and part Black Birds in America (iniziata nel 2020) per 6 milioni di dollari. Eppure, la sua pittura non punta al mercato: è pensiero, documentazione, resistenza. E lo dimostrano anche gli otto nuovi dipinti esposti in chiusura della retrospettiva, che affrontano la tratta transatlantica dalla prospettiva africana. Con queste opere, Marshall ribadisce il ruolo centrale della pittura di storia oggi: non illustrativa, ma narrativa, critica e complessa. Ogni figura nera diventa protagonista assoluta. E ogni dettaglio, un segno di presenza. Perché la pittura non è memoria passiva, ma assedio alla dimenticanza. «Finché dipingerò, la storia non potrà tornare muta», confessa Marshall, e la sua retrospettiva alla Royal Academy lo conferma. La sua pittura è una duplice sfida: impone uno sguardo attento e sollecita partecipazione. Ogni figura, dettaglio, colore rivendica presenza. Ma non si tratta di memoria passiva: è testimonianza, è urgenza.

Installation view della mostra «Kerry James Marshall: The Histories», 2025–26, Royal Academy of Arts di Londra. Credits ©David Parry/ Royal Academy of Arts, Londra. ©Kerry James Marshall

Nicoletta Biglietti, 17 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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La sublime mostra di Kerry James Marshall alla Royal Academy: «Cerco sempre di fare in modo che la bellezza e l’orrore coesistano nella stessa immagine» | Nicoletta Biglietti

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