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Laura Sudiro
Leggi i suoi articoliRicordare non tanto la tragica fine di Pompei, quanto la sua riscoperta a seguito degli scavi del 1748 e raccontare dunque la rinascita di uno dei siti archeologici più famosi del mondo attraverso la straordinaria influenza da esso esercitata sul linguaggio artistico e il gusto europeo del XVIII e del XIX secolo, fino ai bombardamenti del 1943: questa l’idea alla base della mostra «Pompei e l’Europa. 1748-1943», curata da Massimo Osanna, Luigi Gallo e Maria Teresa Caracciolo e allestita dal 26 maggio al 2 novembre al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e all’Anfiteatro di Pompei. A Napoli duecento anni di storia sono condensati lungo un percorso che sovrappone antico e moderno attraverso circa 250 opere provenienti da musei italiani e stranieri. Dal continuo confronto tra pezzi archeologici e dipinti, disegni, fotografie, oggetti, stampe e progetti architettonici ispirati alla vita della città sepolta dal Vesuvio, è possibile cogliere gli influssi che le antichità pompeiane hanno avuto nello sviluppo dell’archeologia, dell’arte e dell’architettura moderne e che si possono ritrovare, tra gli altri, in alcune tele di Picasso, De Valenciennes, Delaroche e Palizzi, nelle sculture di Canova e di Arturo Martini, nelle incisioni di Piranesi, nei disegni (inediti) dell’architetto Normand. La sezione collocata nell’Anfiteatro di Pompei ospita una struttura effimera ideata, come il resto degli allestimenti, dall’architetto Francesco Venezia, all’interno della quale sono allestiti una trentina di calchi in gesso delle vittime dell’eruzione del 79 d.C., restaurati per l’occasione e presentati per la prima volta. Accanto è esposta una serie di fotografie, perlopiù inedite, provenienti dall’archivio della Sovrintendenza di Pompei e selezionate da Massimo Osanna, Ernesto De Carolis e Grete Stefani, che ripercorrono la storia degli scavi fra Otto e Novecento.
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