«2 Houses, 1 Castle» di James Franco

Image

«2 Houses, 1 Castle» di James Franco

La «wasteland» di James Franco

La mostra svizzera dell’attore americano riflette sui limiti di un’industria affascinante e spietata, svelando che cosa si cela quando i riflettori si spengono

James Franco, 46 anni, celebre per film come «127 Ore», che gli è valso una candidatura all’Oscar, e soprattutto per «The Disaster Artist» (2017), per cui ha vinto un Golden Globe, ha sempre dimostrato una capacità di esplorare i lati più complessi e contraddittori del mondo hollywoodiano. In «The Disaster Artist», Franco ha raccontato con grande intensità la storia di Tommy Wiseau, il regista di «The Room», noto come «il peggior film mai realizzato». Con la sua interpretazione, è riuscito a catturare l’essenza di una figura fragile e visionaria, evidenziando il sottile confine tra genio e fallimento. 

Parallelamente alla sua carriera cinematografica, Franco ha sviluppato un percorso come artista visivo, esponendo le sue opere in istituzioni come il Moca di Los Angeles, dove ha collaborato con artisti del calibro di Paul McCarthy, Douglas Gordon ed Ed Ruscha, e in gallerie internazionali come Pace e Gagosian. La sua ultima mostra, «Hollywood is Hell», aperta fino al 17 febbraio 2025 alla Galerie Gmurzynska di Zurigo, vuole offrire una riflessione sul mito della fabbrica dei sogni, mettendone in luce fragilità, decadenza e contraddizioni

L’ispirazione nasce dall’esperienza vissuta durante la pandemia, quando le strade di Los Angeles, solitamente animate, apparivano deserte e i muri erano segnati da poster logori e strappati. Franco descrive quella città spettrale come una «wasteland», una terra desolata dove il glamour di Hollywood sembrava dissolversi, lasciando spazio a un senso di vuoto e abbandono. Per l’opera che dà il titolo all’intera mostra, Franco costruisce un paesaggio dominato dal caos e dalla violenza. Parole come «hell» emergono tra strati di colore e materiali, evocando una realtà corrosa e disturbante, un inferno contemporaneo in cui il patinato splendore della «Dream Factory» si sgretola sotto il peso della propria illusione. Questo senso di decadenza si estende a «One Day at a Time (Batman)», dove Franco reinterpreta l’icona pop di Batman, simbolo di forza e mascolinità, trasformandolo in una figura quasi disintegrata. Con un tono ironico e spiazzante, «Donald Duck Nephews on Green» offre invece una riflessione sulla perdita dell’innocenza. Qui, i celebri nipoti di Paperino, Qui, Quo e Qua, sono raffigurati su un vecchio armadietto, immersi in un contesto visivo cupo e dissonante. Franco contrappone la nostalgia dell’infanzia idealizzata alla disillusione dell’età adulta, spogliando l’immagine familiare della sua purezza. 

La mostra funziona come uno specchio che riflette i limiti di un’industria tanto affascinante quanto spietata, svelando cosa si cela dietro i riflettori spenti. «Hollywood is Hell» sembra completare il discorso iniziato da Franco con la pellicola «The Disaster Artist»: se nel film aveva raccontato, attraverso Tommy Wiseau, il lato fragile e visionario del fallimento individuale, qui sposta la riflessione su un piano più ampio e collettivo. Con questa serie di opere, Franco non si limita a decostruire il mito hollywoodiano, ma invita il pubblico a confrontarsi con una domanda più universale: possiamo davvero liberarci del mito che critichiamo o, in fondo, ne restiamo prigionieri, proprio come i suoi personaggi? 

«Hollywood is Hell» (2022) di James Franco

Rischa Paterlini, 31 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

La «wasteland» di James Franco | Rischa Paterlini

La «wasteland» di James Franco | Rischa Paterlini