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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliUna mostra che intreccia pensiero, arte e vita: è quanto propone la Fondation Giacometti di Parigi con «Beauvoir, Sartre, Giacometti. Vertigini dell’assoluto», dal 19 giugno al 6 ottobre, in cui l’istituzione parigina ricostruisce l’amicizia e l’intesa intellettuale tra tre grandi personalità del ’900, mettendo in dialogo le opere di Alberto Giacometti (1901-66) con le idee di Simone de Beauvoir (1908-86), autrice pioniera del femminismo di Il secondo sesso (1949), e Jean-Paul Sartre (1905-80), il filosofo francese padre dell’Esistenzialismo. La curatrice Émilie Bouvard, direttrice delle collezioni della Fondation Giacometti, non ha voluto fare una mostra «biografica», anche se il percorso si apre su un episodio ben preciso: il viaggio a Ginevra nell’autunno del 1946 di Sartre e Beauvoir, già coppia star della filosofia, presso Albert Skira, editore d’arte e della rivista «Labyrinthe», cofondata da Giacometti, una piattaforma di espressione per gli intellettuali e gli artisti parigini imbavagliati in Francia durante la guerra. I tre erano già amici dal 1941. Si incontravano regolarmente nei caffè di Saint-Germain-des Prés e nei salotti dell’avanguardia intellettuale, ma poi arrivò l’Occupazione.
Il percorso espositivo, in una novantina di opere, tra cui disegni, dipinti, fotografie, lettere, riviste, prime edizioni e numerose sculture di Giacometti, indaga i legami tra questi tre giganti del secolo scorso, le loro riflessioni sul valore della libertà, caro all’Esistenzialismo, e la crisi della rappresentazione. La mostra si apre con una sezione dedicata al clima culturale del dopoguerra, con documenti e riviste, tra cui «Les Temps Modernes», fondata da Sartre e Beauvoir nel 1945. Sono esposti i ritratti a matita che Giacometti dedicò alla coppia e sue opere emblematiche come «Le Nez» (1947), «Homme qui chavire» (1950), «La Main» (1950). Nei suoi diari e memorie (di cui la mostra espone alcune pagine inedite), Beauvoir raccontò più tardi le sue discussioni con l’artista sul ruolo della donna nell’arte e sul legame tra corpo e identità. Giacometti, con le sue celebri figure filiformi e inquiete, ricercò sempre una rappresentazione veritiera dell’uomo, libera dalle illusioni, e in cui Sartre vide l’incarnazione visiva del pensiero esistenzialista. Per il filosofo Giacometti «non rappresenta l’uomo: lo reinventa ogni volta». Nel suo saggio del 1948 La recherche de l’absolu, che ispira il titolo della mostra, Sartre interpretò l’arte di Giacometti come manifestazione concreta dell’impossibilità di afferrare l’essere. Lo scultore condivise a sua volta con l’Esistenzialismo l’idea che la verità si trovi nella tensione continua.
Una sala è dedicata alla figura di Annette Arm, compagna e modella di Giacometti, che fu molto vicina a Beauvoir. L’istituzione parigina, che conserva la ricostituzione dell’atelier di Giacometti, con i suoi arredi originali, le pareti dipinte dall’artista e decine di gessi e sculture, chiude la mostra con un’evocazione dello studio-biblioteca di Simone de Beauvoir, dove la scrittrice e filosofa si trasferì nel 1955, al numero 11bis della rue Victor-Schœlcher, affacciata sul cimitero di Montparnasse: «La mia camera, scrisse Beauvoir in La forza delle cose (1963), era decorata con oggetti inutili, per me preziosi: uova di struzzo del Sahara, tam tam di piombo, tamburi che Sartre mi aveva portato da Haiti, spade di vetro e specchi veneziani che mi aveva acquistato in rue Bonaparte, un calco in gesso delle sue mani, lampade da terra di Giacometti. Mi piaceva lavorare di fronte alla finestra: il cielo azzurro incorniciato dalle tende rosse assomigliava a una scenografia di Christian Bérard».

Alberto Giacometti, «Jean Paul Sartre appoggiato sui gomiti» 1949, Fondation Giacometti. © Succession Alberto Giacometti Adagp, Paris 2025

Alberto Giacometti, «Simone de Beauvoir», 1946, Fondation Giacometti. © Succession Alberto Giacometti, Adagp, Paris 2025