Uno dei tanti portali marmorei della Genova medievale con scene a bassorilievo

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Uno dei tanti portali marmorei della Genova medievale con scene a bassorilievo

Barbara Antonetto

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Le aperture dei Palazzi dei Rolli hanno avuto un successo tale che i turisti rischiano di dimenticarsi che il Cinquecento non fu l’unica epoca d’oro a lasciare la sua impronta su Genova. Per questo motivo il 2024 è dedicato a un momento storico altrettanto importante, il Medioevo, e propone percorsi a tema che stimolano il gusto della scoperta di storie e tracce straordinarie, spesso inglobate dalle trasformazioni architettoniche successive. Gli uffici della direzione Turismo del Comune hanno messo a punto «Ianua Genova nel Medioevo», percorso guidato tematico che parte ogni sabato alle 10.30 dall’Ufficio d’Informazione e Accoglienza Turistica situato presso il Green Hub - Porto Antico (nei pressi dell’Acquario) e si sviluppa sulla collina di Castello, dove la città medievale sorse su precedenti insediamenti preromani e romani (il nome deriva appunto da castrum) per mano di mercanti approdati dal Mediterraneo orientale e diretti a vendere le loro merci nell’Europa centrale. Il rapporto del centro abitato con il mare era strettissimo: l’acqua lambiva un porticato che si snoda per 900 metri lungo il perimetro del porto, la via di Sottoripa. Qui sorgevano le case dei mercanti, i cui traffici erano favoriti dal fatto che le merci potessero arrivare in barca fino alle fondamenta. Anche nelle altre vie gli edifici al piano terra era aperti da archi per cui, finché non vennero tamponati, i vicoli risultavano meno stretti.

Il chiostro della Chiesa di Sant’Andrea a Genova demolita durante l’ampliamento ottocentesco della città

Particolare del chiostro della Chiesa di Andrea a Genova demolita durante l’ampliamento ottocentesco della città

Anziché abbattere e ricostruire, Genova ha sempre rimaneggiato i palazzi residenziali adattandoli alla crescita demografica e alle nuove esigenze. Quelli che ebbero sorte meno fortunata furono gli edifici religiosi, poiché con gli ampliamenti ottocenteschi alcune chiese vennero demolite per fare spazio alle abitazioni. È così che San Domenico e San Francesco sono andate perdute. Per quanto riguarda il Monastero di Sant’Andrea, dopo lungo dibattito venne salvato soltanto il bellissimo chiostro romanico che oggi, circondato di alberi, costituisce un’oasi di pace nella frenesia della città all’ombra di Porta Soprana, una delle quattro porte da cui si accedeva alla città.

Porta Soprana a Genova

Il camminamento sulle mura di Genova che parte da Porta Soprana

La Repubblica marinara di Genova dominava il Mediterraneo ma, situata in una conca, doveva difendersi dagli attacchi via terra chiudendosi entro mura (e murette, così sono chiamate quelle più interne). La cinta muraria venne edificata in tempi record tra il 1155 e il 1159 perché la città era diventata oggetto delle mire espansionistiche dell’imperatore del Sacro romano Impero Federico Barbarossa. Porta Soprana (con Porta dei Vacca l’unica delle porte cittadine sopravvissute) è molto alta e ha due torri che svettano ben oltre l’elemento di raccordo. Da qui si può percorrere il suggestivo camminamento di ronda trasformato in carruggio, con affacci sul porto e sul ponte romano, e raggiungere l’appartato Campo Pisano. La piazzetta circondata da case variopinte commemora la vittoria contro Pisa nella Battaglia della Meloria (1284), che prende il nome dall’isola dell’arcipelago toscano dietro la quale l’ammiraglio Oberto Doria nascose le galee genovesi per piombare sulla flotta pisana cogliendola di sorpresa. La vittoria pose fine alle innumerevoli battaglie con cui le due Repubbliche marinare si erano disputate il controllo sul Tirreno tra XII e XIII secolo; in Campo Pisano vennero ammassati 1.272 prigionieri (la città contava 30mila abitanti), molti dei quali finirono ai lavori forzati sulle galee della Repubblica.

Campo Pisano a Genova

La Porta dei Vacca Genova

Durante l’espansione ottocentesca verso ponente vennero risparmiati i conventi e le chiese medievali della zona di Castello, non appetibile per l’espansione urbana: il Palazzo del Vescovo, il più antico di Genova, utilizzato successivamente come monastero di clausura delle monache domenicane e oggi prestigiosa sede della Facoltà di architettura, e le chiese di San Donato, di Santa Maria di Castello e dei Santi Cosma e Damiano.

Il Palazzo del Vescovo a Genova, oggi sede della Facoltà di Architettira

Il fianco di Palazzo San Giorgio a Genova, con l’edificio medievale rivolto verso la città e quello rinascimentale rivolto verso il mare

La prima che si incontra salendo la collina di Castello, in una piazzetta tra le più suggestive delle tante che si aprono tra i vicoli di Genova, è la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, dell’XI secolo se non addirittura di epoca ottoniana, con tombe ad arcosolio in facciata e i simboli dei pirati sul pavimento; è l’unica a conservare le tre absidi originali che hanno la caratteristica di non essere sfondate perché dietro passava una strada.

Le absidi della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Genova

Poco distante San Donato si distingue per la splendida torre nolare ottagonale e perché nell’interno, restaurato nella seconda metà dell’Ottocento dall’architetto Alfredo D’Andrade (cui si deve il recupero del soffitto a capriate lignee), si possono ammirare la trecentesca tavola fondo oro con la «Madonna del latte» di Barnaba da Modena e un prezioso trittico con l’«Adorazione dei Magi» realizzato nel 1515 da Joos van Cleve su committenza di Stefano Raggi, uno dei tanti commercianti, banchieri e uomini di affari della ricca comunità genovese nelle Fiandre, che dal pittore di Anversa si fece ritrarre nell’anta sinistra del trittico e in una tavola oggi in Palazzo Spinola. Alle spalle della Chiesa San Donato si aprono i Giardini Luzzati, lodevole recupero di uno spazio cittadino con affacci sui campanili medievali circostanti (quello di San Donato e quello di Sant’Agostino), un tratto di mura del I secolo a.C. e vestigia di epoca altomedievale.

La torre nolare della Chiesa di San Donato a Genova

L’«Adorazione dei Magi» (1515) di Joos van Cleve nella Chiesa di San Donato a Genova

Procedendo si arriva a piazza Embriaci, luogo di dominio della potente famiglia su cui prospettano edifici con numerose tracce dello splendore medievale genovese, come le colonne marmoree rivelate da recenti restauri, un prezioso portale e la Torre degli Embriaci eretta nel XII secolo, l’unica di Genova che, in omaggio a Guglielmo Embriaco, conquistatore di Gerusalemme, non venne ribassata nonostante l’ordinanza del 1296 secondo il quale nessuna torre doveva superare l’altezza del campanile della Cattedrale di San Lorenzo.

La Torre degli Embriaci a Genova

Accanto alla Torre degli Embriaci si trova la Chiesa di Santa Maria di Castello, una delle architetture romaniche meglio conservate di Genova, realizzata nella prima metà del XII secolo con materiali di recupero provenienti da ogni parte del Mediterraneo (splendide le colonne di granito) dai Magistri Antelami, una corporazione di costruttori e lapicidi della Valle d’Intelvi e della zona di Como. A metà Quattrocento la chiesa passò ai Domenicani che, con il sostegno dei Grimaldi Oliva, costruirono tre chiostri e il convento che conservano ricche decorazioni scultoree e pittoriche: la più nota è la straordinariamente ben conservata «Annunciazione» dipinta su muro da Giusto di Ravensburg, firmata e datata 1451. Parte del convento dal 2001 è adibito a museo e vi sono esposti portali, statue ed elementi marmorei, dipinti su tavola tra gli altri di Ludovico Brea e Barnaba da Modena e una interessantissima collezione di ex voto. Anche la chiesa racchiude opere d’arte di grande pregio: il gruppo marmoreo dell’«Assunzione di Maria» scolpito in marmo da Anton Domenico Parodi (1644-1703) venne collocato sull’altare maggiore rifatto dopo il bombardamento della città ordinato nel 1684 dal Re Sole, irritato per l’alleanza di Genova con la Spagna (una delle 1.350 palle di cannone sparate da Luigi XIV è conservata in museo), un gruppo ligneo di scuola del Maragliano e il grande polittico dell’«Annunciazione» di Giovanni Mazone, splendido esempio di polittico del Quattrocento ligure ancora visibile nel suo contesto originale. Addossato a un pilastro nei pressi dell’altare è collocato un crocifisso ligneo trecentesco che nei secoli subì vari rimaneggiamenti, come l’aggiunta di una folta barba e di lunghi capelli eliminati durante il restauro degli anni Settanta (ne fu però realizzata una copia per i fedeli poiché il Cristo con barba e capelli era molto venerato). Scolpito nel 1452 da Giovanni Gagini e Leonardo Riccomanno, il portale maggiore della sacrestia è uno dei primi e dei più illustri esempi della diffusione della nuova cultura toscana a Genova (due angeli sorreggono un cartiglio in cui sono elencate le opere donate dai Grimaldi al convento). 

Una veduta del Museo del Complesso di Santa Maria di Castello a Genova

L’«Annunciazione» (1451) dipinta su muro da Giusto di Ravensburg nel Convento di Santa Maria di Castello a Genova

Non lontano da Santa Maria di Castello c’è un altro complesso importantissimo per la storia medievale della città, il Museo di Sant’Agostino che in occasione dell’anno di Genova medievale ha allestito all’interno della chiesa una serie di opere selezionate nelle raccolte del museo con l’intento di documentare la ricchezza del patrimonio monumentale, religioso ma anche civile, tra XI e XV secolo in cui un periferico centro del Nord Italia divenne una delle più grandi potenze del Mediterraneo grazie ai ricchi traffici commerciali e iniziò a edificare con materiali di costruzione pregiati che arrivavano via mare, come il marmo turco, il marmo bianco di Carrara o la pietra nera di Promontorio (cioè Capo di Faro dove sorge la Lanterna). Il museo, noto a livello internazionale come uno dei più significativi esempi della museografia del Novecento per l’allestimento realizzato nel 1965 da Franco Albini e Franca Helg, è da tempo chiuso perché le grandi vetrate non erano più stabili e i molti dislivelli e gradini inadatti ai disabili. Ci vorranno anni e grandi risorse conomiche per consentire il difficile restauro, l’adeguamento impiantistico e il nuovo progetto museografico di un’istituzione dalla storia lunga e travagliata. Inaugurato nel 1939 come Museo di Architettura e Scultura ligure, inizialmente presentava nella chiesa e nel chiostro triangolare (su cui si affaccia il duecentesco campanile in mattoni con copertura policroma maiolicata) opere e decorazioni provenienti dagli edifici abbattuti durante l’espansione ottocentesca della città seguita al boom demografico, ma solo tre anni più tardi era inagibile a causa della devastazione dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. In attesa che, nel 2027, si possa tornare ad ammirare le migliaia di opere dall’Antichità al XIX secolo che oggi compongono le collezioni del museo, all’interno della grande chiesa gotica si snoda un racconto del Medioevo genovese suddiviso in capitoli: le raffigurazioni religiose, le decorazioni degli edifici civili, i simboli civici (il Grifone, l’Agnus Dei e san Giorgo che uccide il drago), le epigrafi, le lapidi e soprattutto i personaggi. Il fulcro del percorso è il’«Elevatio animae di Margherita di Brabante», sublime opera trecentesca che Giovanni Pisano scolpì al vertice di un complesso monumento funebre (un sarcofago con una serie di figure sormontato da un baldacchino) per la Chiesa di San Francesco di Castelletto, demolita all’inizio del XIX secolo. Nel 1874 le tre sculture sono state riconosciute come appartenenti al monumento funebre di Margherita di Brabante dall’erudito genovese Santo Varni che le individuò in una nicchia del giardino della Villa Duchessa di Galliera a Voltri. Il gruppo scultoreo, oggi esposto al termine di un restauro di otto anni, raffigura Margherita, la moglie di Arrigo VII morta durante la discesa dell’imperatore in Italia, sollevata da due accoliti. Tra i protagonisti del Medioevo evocati dalle opere in mostra anche Jacopo da Varagine, dal 1292 arcivescovo di Genova con un importante ruolo di mediatore e sostenitore della pace tra guelfi e ghibellini, e Simone Boccanegra, primo doge della Repubblica di Genova.

Le tracce della potenza genovese nel Medioevo sono molteplici in città per cui è sufficiente camminare tra i carruggi con il naso all’insù per immattersi in splendidi portali marmorei scolpiti o nelle numerose edicole incastonate agli angoli dei palazzi, tradizione iniziata in epoca medievale con la devozione per la Madonna e ulteriormente rafforzata nel Seicento con la consacrazione della città a Maria, nominata Regina di Genova perché la Repubblica non venisse preceduta dalle monarchie nei cerimoniali di corte.

Meritano una segnalazione particolare piazza San Matteo, esempio di insediamento nobiliare altomedievale straordinariamente ben conservato che, con l’omonima chiesa trecentesca e i palazzi dalle caratteristiche bande bianche e nere, rappresenta il centro di potere della famiglia Doria e la Commenda di San Giovanni di Prè, complesso di edifici tra i più interessanti del periodo romanico a Genova composto dalla duplice chiesa superiore e inferiore, dal convento e dall’hospitale in cui i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme fornivano assistenza ai pellegrini e ai crociati in viaggio da e verso la Terrasanta.

La Chiesa di San Matteo in piazza San Matteo a Genova

La Commenda di San Giovanni di Prè a Genova

Il Palazzo San Giorgio venne costruito tra il 1257 e il 1260 nel porto, il punto nevralgico dell’economia della città, su commissione del Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra che intendeva così realizzare una propria sede per il potere civile, ben distinta da quella del potere religioso insediato presso la Cattedrale di San Lorenzo. Il progetto su palafitte, all’avanguardia dal punto di vista ingegneristico, si deve a Frate Oliverio, monaco cistercense dell’Abbazia di Sant’Andrea a Sestri. Soltanto due anni dopo Guglielmo Boccanegra fu deposto e mandato in esilio per cui il palazzo passò ad ospitare le magistrature di controllo dei traffici portuali, la dogana e gli uffici delle cosiddette Compere, enti incaricati della gestione dei prestiti in denaro fatti dai cittadini al Comune, che finanziava le operazioni militari con emissioni di debito pubblico. A partire dal 1451 vi si installò il Banco di San Giorgio, istituzione potentissima che ha costituito per secoli il motore finanziario della Repubblica, mentre oggi è sede dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale. L’edificio è composto da due unità distinte, quella originaria medievale che aveva l’ingresso rivolto verso la città e quella aggiunta a metà Cinquecento, in cui venne spostato l’ingresso principale, rivolta verso il mare che fino a fine Settecento occupava l’area di Caricamento e arrivava a lambire i portici di Sottoripa. Nel secolo successivo molti elementi concorsero all’abbandono al degrado del Palazzo di San Giorgio: la soppressione del Banco nel 1821, la creazione di piazza Caricamento nell’area in cui nel Medioevo c’erano le banchine portuali e il mare, la costruzione delle Terrazze di marmo (demolite solo 50 anni dopo) e l’apertura di una strada litoranea, la Carrettiera Carlo Alberto corrispondente all’attuale via Gramsci. L’edificio ostacolava la viabilità ottocentesca e il suo stato di conservazione era talmente compromesso che il governo Sabaudo (nel 1815 Genova era stata annessa al Regno di Sardegna), propenso a cancellare i segni della Repubblica, intendeva abbatterlo. Fu Alfredo D’Andrade, allora Sovrintendente alle Belle Arti di Liguria e Piemonte, a sollevare un movimento di opinione per salvare il Palazzo di San Giorgio, movimento sostenuto anche dalla Società Ligure di Storia Patria che, istituita nel 1857, aveva reperito i documenti nell’Archivio di Stato. Finalmente, dopo un lungo dibattito, nel 1883 il Ministero della pubblica istruzione affidò il restauro del palazzo a D’Andrade, che evidenziò i caratteri medievali dell’edificio secondo il gusto neogotico. In particolare gli ambienti interni sono ricostruzioni ipotetiche degli arredi medievali, ma va comunque detto che l’approccio al restauro di D’andrade era meno libero di quello del contemporaneo francese Eugène Viollet-le-Duc e che, dove era possibile, il Sovrintendente operò una ricostruzione fedele: per fare un esempio, incaricò Ludovico Pogliaghi di rifare gli affreschi cinquecenteschi che Lazzaro Tavarone aveva realizzato sulla facciata rinascimentale fronte mare restaurando quanto era ancora leggibile e per il resto rifacendosi ai bozzetti originali e a un dipinto di Giovanni Battista Paggi, contemporaneo di Tavarone, raffigurante la facciata.

La facciata rinascimentale del Palazzo San Giorgio

Il tour della Genova medievale potrebbe continuare, ma volendo «chiuderlo in bellezza» si può scegliere come ultima tappa la Cattedrale di San Lorenzo che, consacrata nel 1118, è il principale monumento gotico della città, con facciata a fasce bianche e nere tra due torri campanarie riccamente decorata da sculture e magnifici portali. Dopo aver visitato il solenne interno (in controfacciata, sopra la porta mediana, un affresco del XIII secolo raffigura il Giudizio Universale e la Glorificazione della Vergine), si può godere del panorama salendo alle torri, ma soprattutto non si può prescindere dalla visita al Museo del Tesoro che, negli spazi sotterranei in pietra scura ideati dal Franco Albini nel 1954, espone il Sacro Catino secondo la tradizione utilizzato durante l’Ultima Cena (un vetro stampato del I-II secolo in cui l’Opificio delle Pietre Dure ha riparato un buco risalente ai saccheggi  napoleonici), la Croce bizantina degli Zaccaria utilizzata per la consacrazione dei dogi (una stauroteca che contiene un frammento della croce), il piatto in calcedonio del I secolo in cui secondo la tradizione sarebbe stata consegnata a Salomè la testa del Battista, l’Arca delle Ceneri e altre oreficerie legate al culto di san Giovanni Battista, patrono della città. 

La facciata della Cattedrale di San Lorenzo a Genova

Il portale centrale della Cattedrale di San Lorenzo

A fianco della Cattedrale, nell’edificio che originariamente era la residenza dei Canonici, si sviluppa su quattro piani il Museo Diocesano che vanta un vasto patrimonio di dipinti, sculture, tessuti, codici miniati, argenti, reliquiari, strumenti musicali e reperti archeologici, oltre a una straordinaria raccolta impropriamente detta di teli jeans, in realtà apparati poveri in lino da utilizzare durante la Settimana Santa su cui tra fine Quattro e inizio Cinquecento Teramo Piaggio ha dipinte in monocromia blu scene della Passione. Recentemente il museo ha riallestito il Monumento funebre del cardinale Luca Fieschi, uno dei più notevoli esempi di scultura gotica in Italia. Capolavoro della prima metà del Trecento di due scultori attivi nella Cattedrale di Pisa, Lupo di Francesco e Bonaiuto di Michele (o Michele di Bonaiuto), il monumento è stato collocato su una parete di oltre otto metri, per restituire l’impatto del suo grandioso sviluppo in altezza. Un affaccio a metà altezza permette di esplorare nei dettagli i particolari delle figure scolpite.

Barbara Antonetto, 06 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

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L’anno di Genova medievale | Barbara Antonetto

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