Un ponte segregato alla stazione ferroviaria di Pretoria negli anni Sessanta fotografato da Ernest Cole

© Ernest Cole / Magnum Photos

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Un ponte segregato alla stazione ferroviaria di Pretoria negli anni Sessanta fotografato da Ernest Cole

© Ernest Cole / Magnum Photos

L’apartheid sulla pelle e nello sguardo di Ernest Cole

Da The Photographers’ Gallery più di 100 fotografie, documenti, ephemera e interviste video selezionati dai curatori Anne-Marie Beckmann e Andrea Holzherr

La brutalità dell’apartheid in Sudafrica è il contesto in cui nasce e si avvicina alla fotografia Ernest Cole (1940-1990), uno dei primi freelance neri della storia del Paese, autore di uno dei libri fotografici più significativi del XX secolo: House of Bondage. Pubblicato nel 1967, testimonia al mondo le mille forme di violenza della politica segregazionista perpetrata dal governo sudafricano a danno dei cittadini di colore. La sua storia, al tempo stesso drammatica e sensazionale, è riproposta in forma espositiva da The Photographers’ Gallery, fino al 22 settembre, attraverso più di 100 fotografie, documenti, ephemera e interviste video selezionati dai curatori Anne-Marie Beckmann e Andrea Holzherr con il contributo di Karen McQuaid, senior curator della galleria londinese. 

Il percorso espositivo ripercorre i 15 capitoli tematici dell’edizione originale, mostrando inoltre i lavori di «Black Ingenuity», il capitolo che Cole aveva escluso dal primo progetto e che racconta le molteplici forme della creatività nera nel contesto repressivo.

«Trecento anni di supremazia bianca in Sudafrica ci hanno messo in schiavitù, ci hanno spogliato della nostra dignità, ci hanno privato della nostra autostima e ci hanno circondato di odio», afferma Cole. 

Nato in una township della provincia del Transvaal, Cole vive sulla propria pelle le umiliazioni e le ingiustizie del sistema. Fra gli anni ’50 e ’60, la sua cronaca si sofferma sull’inadeguatezza dell’istruzione riservata ai bambini di etnia bantu (contro cui Cole si scaglia già da studente abbandonando la scuola per protesta) e denuncia più in generale le condizioni di vita della comunità nera che lo circonda. Dai lavoratori delle miniere alle domestiche nelle case dei proprietari bianchi, dal settore sanitario a quello dei trasporti, dove tutto parla di sfruttamento ed emarginazione. Dopo una riclassificazione da «nero» a «di colore», può lavorare come fotografo documentando la vita quotidiana del Paese per testate come il «New York Times» e il mensile sudafricano «Drum».

L’anno ’66 segna la svolta per Cole: la fuga dal Sudafrica e l’arrivo a New York con il proprio archivio fotografico portato via di nascosto gli permette di pubblicare House of Bondage. Il libro ottiene grande risonanza e riconoscimento, influenzando generazioni di fotografi in tutto il mondo, ma si traduce per Cole nella privazione del passaporto sudafricano e nel divieto perpetuo di far ritorno nel proprio Paese.

Mario Alberto Ratis, 12 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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