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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliLuca Josi è stato fino allo scorso settembre il regista della comunicazione di TIM, in qualità di direttore della divisione Brand Strategy, Media & Multimedia Entertainment; di sua concezione, tra l’altro, sono gli spot televisivi che hanno visto l’agile ballerino Sven Otten danzare da solo o accompagnato da folle festanti sulla Scalinata di Trinità dei Monti, davanti allo sfondo di una piazza Navona che mutava aspetto con il passare delle quattro stagioni, sotto il Ponte di Rialto a Venezia in compagnia dell’Uomo Ragno.
Come componente del Cda della Fondazione TIM, Josi è stato anche l’ispiratore e il curatore del progetto di mecenatismo del restauro del Mausoleo di Augusto, da marzo 2021 restituito alla fruizione del pubblico grazie agli 8 milioni donati da TIM.
Nato ad Albenga 55 anni fa, ma romano di adozione, Luca Josi, intellettuale prestato alle arti della comunicazione di massa, ha un passato di militanza attiva nel movimento giovanile del Psi di Craxi, seguita dai successi nel mondo della produzione televisiva (5 Telegatti vinti in dieci anni). Ora lascia TIM rimanendo in ottimi rapporti con la compagnia telefonica guidata da Luigi Gubitosi e sta progettando la creazione di una nuova società.
Prima di scandagliare la sua visione dei rapporti tra arte antica e commercializzazione moderna di un brand, gli chiediamo dei suoi programmi per il futuro. «Si chiude un ciclo e inizia una nuova vita, spiega, ma sarà sempre nell’area del digitale e della produzione di contenuti, senza escludere peraltro cooperazioni proprio con TIM, se non altro perché, essendo un protagonista del mercato italiano della telefonia e della televisione on demand, è per sua natura un interlocutore privilegiato».
Perché la scelta del Mausoleo di Augusto?
Si tratta di un luogo simbolico e unico. Augusto lo concepì come summa della sua visione propagandistica (come argomenta Paul Zanker nel suo straordinario libro Augusto e il potere delle immagini, Bollati Boringhieri 2006); visitò la tomba di Alessandro Magno situata in fondo a una grotta e decise che per sé e per la sua discendenza avrebbe voluto un luogo capace di essere scorto a grande distanza, come il colossale sepolcro del re Mausolo (da cui prende il nome il monumento augusteo). Per la sua edificazione, Augusto scelse un terreno pianeggiante e verde, dedicato al dio Marte, il Campo Marzio; fece rivestire il gigantesco cilindro (90 metri di diametro e 45 di altezza) di marmi bianchi e travertino, così da farlo splendere per la rifrazione del sole. Alla sommità, l’imperatore fece posizionare una sua colossale statua in bronzo. E poiché anche Mecenate fu sepolto nel Mausoleo, è sembrato naturale dedicare il più rilevante atto di mecenatismo italiano al sito che ne ha accolto le spoglie.
Il marketing ha, quindi, radici antichissime...
La penso come Gino De Dominicis secondo cui gli antichi erano i moderni e noi moderni, rispetto a loro, siamo antichi.
Vendere bene significa anche saper rovesciare le prospettive?
Significa trovare che cosa unisce il tutto. Provo a spiegarmi: Fondazione TIM, sostenendo il Comune di Roma, ha ridato vita al Mausoleo di Augusto. È questa la missione di chi, dal suo presente, vuole aiutare il passato a raccontarsi nel futuro. Il Pantheon è ancora in piedi perché divenne la Basilica di Santa Maria ad Martyres. La Curia al Foro Romano è rimasta integra perché venne trasformata nella Chiesa di Sant’Adriano. Solo la rifunzionalizzazione di un monumento, mediante la proposizione di nuovi contenuti e usi sociali ne garantisce la sopravvivenza nel tempo. Il Mausoleo di Augusto ha avuto molte vite: nel Medioevo divenne una grande calcara, che ne sbriciolò i preziosi marmi; nel ’500 fu la residenza di monsignor Soderini in esilio da Firenze, che vi realizzò uno dei primi giardini all’italiana; poi, ospitò un’arena per le corride e, dal ’700, divenne anfiteatro per spettacoli; infine, a cavallo tra l’800 e il ’900, si trasformò nella più grande sala da concerti d’Europa, l’Augusteo.
Qual è per lei il rapporto tra arte e brand?
Non godremmo della facciata di Santa Maria Novella dell’Alberti se la famiglia Rucellai non avesse pesantemente sovvenzionato quel progetto. Il brand di famiglia, la vela gonfia di vento, domina da allora la trabeazione della chiesa. Oggi, leggo una certa ortodossia ideologica intorno alle politiche di conservazione dell’arte. Probabilmente, la gran parte dei capolavori che oggi vogliamo tutelare non sarebbero mai nati se avessero incontrato alcune mentalità tanto in voga ai giorni nostri. Ho il sospetto che anche l’uomo delle caverne, quando realizzava i suoi graffiti, lo facesse per svariati motivi: testimoniare le sue imprese, fissarle nella memoria, raccontarle, ma anche far crepare d’invidia il suo vicino di grotta.
TIM ha scelto piazza Navona come sfondo del suo principale progetto di comunicazione.
Quella piazza è uno dei più straordinari progetti di comunicazione di tutti i tempi. Quando Bernini presentò a Innocenzo X, consigliato da Donna Olimpia, il modello in bronzo della Fontana dei Quattro Fiumi, l’artista stava vendendo un’idea. E quell’idea piacque al papa, che a sua volta vi aggregò altre idee di propaganda politica mediate dalla bellezza. Ma poi, per Bernini, fu anche un modo di rispondere alle irrisioni che lo colpirono al momento del cedimento del campanile sulla facciata della Basilica di San Pietro. Volle dimostrare che quell’obelisco sospeso sopra i quattro grandi archi in travertino era la risposta più solida alle critiche da cui era stato sommerso; una summa di comunicazione. Con TIM mi sono ispirato proprio a quella vegetazione scolpita nel travertino, poetica dell’epopea barocca, e ho immaginato la natura che fiorisce in primavera per tutta la piazza, la allaga in estate e la ricopre di neve in inverno per raccontare di come la tecnologia accompagni e assecondi la natura e ne sia la sua più fedele alleata per viverne, in simbiosi, i suoi cicli.
Ma gli anelli di questa catena logica lasciano spazio all’«arte per l’arte»?
Anche l’artista più solipsista cerca un consenso, fosse anche solo quello dei propri occhi e della propria mente.
Dall’arte all’Uomo Ragno. Perché lo ha scelto?
Perché rappresenta una delle più efficaci migrazioni nella contemporaneità del mito. Solo col mito l’uomo è riuscito, sin dall’antichità, a esprimere la propria aspirazione a proiettare il desiderio di vedere esplose le sue capacità fisiche e mentali. Poi, l’Uomo Ragno ha i colori di TIM, il rosso e il blu. E manifesta i suoi superpoteri attraverso «l’utilizzo della rete». Un perfetto partner.
A Roma ha individuato il maggior numero di location per gli spot TIM. Che cos’è Roma per lei?
Le prime volte che ci arrivai per lavoro, ventenne, faticavo a non considerare questa situazione come una vacanza, in ragione di una ricchezza visiva senza confini. Roma, non basta una vita, come racconta il titolo del libro di Silvio Negro (Neri Pozza, 2014). Io la giro ancora con lo stupore dell’eterno turista e, come faceva Montaigne, mi annoto tutti i luoghi per pianificarne visite e «ripassi». Roma è un esercizio di ginnastica mentale, un ascensore della storia, che ti fa muovere lungo i millenni anche solo in poche decine di metri.

Luca Josi fino allo scorso settembre è stato l’artefice della comunicazione di TIM

Un’immagine di Piazza Navona a Roma coperta da un prato, set di uno degli spot di TIM
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