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Matisse Mesnil, Self-Service Writing, Centre Pompidou-Metz, La Capsule, 2025, Foto © Valentino Bianchi

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Matisse Mesnil, Self-Service Writing, Centre Pompidou-Metz, La Capsule, 2025, Foto © Valentino Bianchi

Lasciare il segno. Nell'installazione di Matisse Mesnil al Centre Pompidou-Metz

L'opera partecipativa di Mesnil trasforma il gesto della scrittura in traccia collettiva, incidendo nella materia una memoria condivisa e permanente

Teresa Ranchino

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In una meravigliosa conversazione tra Davide Ferrario e Umberto Eco, successivamente trasformata in una videoinstallazione per il Padiglione Italia, curato da Vincenzo Trione alla Biennale d’Arte di Venezia del 2015, Eco riflette sul tema della memoria. «Noi, nella misura in cui possiamo definirci ”io”, siamo la nostra memoria [….]. La memoria è la nostra anima.» Passeggiando tra gli scaffali di una piccola porzione della sua biblioteca personale, Eco ci ricorda che la memoria non è un fenomeno esclusivamente intimo, confinato alla sola dimensione soggettiva. Esiste infatti un corrispettivo tra la memoria individuale e quella collettiva, che trova la sua espressione più tangibile nelle biblioteche, negli archivi e nei musei. Una memoria vegetale, la definisce, figlia di un sistema rizomatico di riletture, ridefinizioni, riscritture. Questi ambienti – contenitori, o piuttosto involucri della memoria condivisa – non si configurano dunque come spazi inerti, ma come dispositivi di sedimentazione dinamica del vissuto umano.

L’installazione realizzata da Matisse Mesnil al Centre Pompidou di Metz agisce in maniera analoga: si fa organismo attivo, capace di accogliere e restituire narrazioni. Il progetto si inserisce in una ricerca più ampia, incentrata sul potenziale evocativo della materia, sul gesto come traccia e sulla memoria come forma di resistenza all’oblio. Ma è anche il riflesso di una geografia personale che l’artista abita e attraversa. Nato a Castiglion Fiorentino e cresciuto tra Italia e Francia, Matisse vive e lavora a Parigi, una città che lui stesso definisce “uno spazio di condensazione”. Attualmente in residenza a POUSH, Matisse ci racconta di un legame affettivo che lo riporta ciclicamente in Italia, in una serie di ritorni che sono, insieme, ricerca e richiamo. Questa tensione tra luoghi, tempi e memorie attraversa la sua pratica artistica, che si articola tra scenografia, scultura e installazione. Con suggestioni provenienti dalla tradizione classica e riferimenti all’Arte Povera, il suo sguardo si concentra sulla stratificazione storica dei gesti quotidiani, delle rovine e dei paesaggi interiori, dando vita a un dialogo costante tra esperienza individuale e memoria collettiva.

Su invito della Direttrice Chiara Parisi ed Elsa de Smet, Matisse ha concepito Self-service writing, un intervento site-specific per la Capsule del Beaubourg di Metz. Uno spazio intermedio tra galleria espositiva e atelier, dove l’installazione non si propone (ancora) come un’opera compiuta, ma come un processo aperto che invita il pubblico a contribuire alla costruzione di un archivio di segni. Tutto ha inizio con un gesto tanto semplice quanto universale: la scrittura. Le pareti e il pavimento, rivestiti di grandi pannelli in acciaio, riflettono la predilezione dell’artista per un materiale che intreccia la pratica artigianale e il linguaggio industriale. L’intransigenza materica del metallo impone un adattamento specifico del gesto, della temporalità e degli strumenti impiegati nella sua lavorazione. Allo stesso modo, la sua capacità di trattenere ogni intervento lo rende il supporto ideale per un processo di stratificazione collettiva. La fisicità austera che dona allo spazio richiama la dimensione archetipica di una grotta, della cella di una prigione o di un monumento antico, luoghi in cui la scrittura si fa testimonianza di un’esistenza, affermazione di un passaggio.

Durante i tre mesi di esposizione, il pubblico è invitato ad incidere, con l’utilizzo di una pietra, parole, frasi, simboli: è invitato, cioè, a fare segno. Un atto che richiama la pratica del tagging/writing vicina alla grammatica del graffitismo, espressioni che irrompono nello spazio urbano con la stessa urgenza con cui ora si insinuano all’interno del museo. «Sono gesti che nascono dalla necessità di affermare una propria presenza nel mondo» ci dice Matisse, «Forse è proprio per questo che i visitatori hanno reagito con straordinaria rapidità.» Forse si. Dopotutto, fare/lasciare segno è un impulso ancestrale e profondamente umano, che affonda le proprie radici nella consapevolezza della nostra impermanenza, un tentativo quasi disperato di resistere all’oblio. Kandinskij lo intuisce chiaramente quando, nel suo saggio Punto, linea, superficie, descrive il punto grafico come “un piccolo mondo conciso in sé” che una volta attivato dal mezzo tracciante, feconda il supporto, generando linee che “sono persone” con proprie storie e propri universi.

Ecco, dunque, che la dimensione condivisa del processo creativo si espande e si moltiplica, articolandosi in un fitto reticolato di relazioni formali. In questo processo, il significato semantico della parola o del segno si dissolve, fino a trasformarsi in un flusso continuo di tracce. La Capsule diventa così guscio di una testimonianza umana, una biblioteca di segni che custodisce una memoria vegetale. In quello che l’artista definisce Secondo Atto, questa prima incisione cederà il passo alla permanenza: al termine dell’esposizione, ogni traccia verrà fissata nell’acciaio attraverso la tecnica della saldatura, stabilizzando il passaggio e dando origine ad un contenitore di una memoria collettiva, dove una comunità temporanea di persone trova nella materia il proprio strumento di persistenza.

 

 

 

Matisse Mesnil, Self-Service Writing, Centre Pompidou-Metz, La Capsule, 2025, Foto © Valentino Bianchi

Matisse Mesnil, Self-Service Writing, Centre Pompidou-Metz, La Capsule, 2025, Foto © Valentino Bianchi

Matisse Mesnil, Self-Service Writing, Centre Pompidou-Metz, La Capsule, 2025, Foto © Valentino Bianchi

Matisse Mesnil, Self-Service Writing, Centre Pompidou-Metz, La Capsule, 2025, Foto © Valentino Bianchi

Teresa Ranchino, 02 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

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