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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliPhilippe Decrauzat (1974, attivo tra Parigi e Losanna) è protagonista della mostra alla Galleria Poggiali a cura di Matthieu Poirier «Teatro anatomico» (sino al 4 ottobre). L’artista, finalista al Prix Marcel Duchamp nel 2022, crea dipinti, ma anche installazioni ambientali dove combina pitture murali e proiezioni video, compiendo una riflessione critica sui movimenti del Novecento e soprattutto sull’eredità dei processi dell’arte optical e cinetica, discostandosi però dalla logica formale dell’arte post bellica. Il suo non è un lavoro di appropriazione, quanto di ricognizione sui processi della percezione, dei modi del vedere. Le tele di Decrauzat sono dipinte con meticolosità e tese su strutture in legno sagomate che assumono forme irregolari e scultoree.
La mostra fiorentina riunisce 25 opere, nelle due sedi fiorentine della galleria di via della Scala e di via Benedetta, incentrate sul concetto di tela «sagomata»: vi sono lavori già noti, quali «Delay Inverted Pentagon» e «Delay, Broadcasting Delay Magenta», entrambi del 2022, dalla forma esagonale oppure «Vertical Wave Red Trasmission» del 2024, ma anche la serie « Still Double», concepita per questo appuntamento. Come spiega il curatore, in «Teatro anatomico» gli spazi espositivi «si trasformano in un sito di osservazione e rivelazione, un palcoscenico simile a quello di un’arena sul quale il corpo pittorico viene messo a nudo. Infatti, i listelli del telaio che garantiscono l’integrità strutturale delle opere, sono immaginati come ossa, scheletro del corpo, riallacciandosi a quella tradizione rinascimentale di studio dell’anatomia, quando il corpo umano diviene soggetto centrale di indagine artistica e metafisica». L’intelaiatura «riecheggia la nostra stessa anatomia e può essere vista come struttura astratta ma vivente, in grado di disturbare il nostro campo visivo e attivare le nostre forze psicologiche e fisiche interiori» aggiunge Poirier. Ed è fuorviante giudicare le sue tele nelle riproduzioni fotografiche perché «nel momento stesso in cui l’osservatore se le trova davanti in carne e ossa o dal vivo, la semplicità della loro geometria e l’espediente grafico si dissolvono per lasciare il posto ad una sensazione di incredibile fisicità e incarnazione».
Pur nella loro astrazione, le opere di Decrauzat stabiliscono un legame tra i corpi e gli elementi materiali, che sono concepiti non solo come supporto, ma come agenti espressivi. Il processo non è dunque frutto di un’azione meccanica su una struttura ferma e inanimata, ma interazione dinamica tra corpo, superficie, immagine, l’architettura interna dell’opera d’arte e il corpo vivente, che con essa si relaziona. I modi in cui l’artista manipola la superficie tessile della tela suggeriscono la vulnerabilità, l’elasticità e la permeabilità dell’epidermide e le ripetizioni lineari non sono meramente decorative ma replicano l’azione di un muscolo. «Frammentando e riconfigurando in chiave modernista i tradizionali componenti del dipinto, il telaio, la tela, il motivo che appare sulla superficie, l’artista svela la logica interna del supporto come se andasse a rimuoverne la pelle, strato dopo strato, per svelare i tendini, la muscolatura e l’impalcatura strutturale che si celano al di sotto di essa» precisa il curatore. Una sorta di autopsia del corpo pittorico, in cui anche l’atto dell’osservare assume una connotazione quasi chirurgica, che ci ricorda il profondo legame tra percezione e fisiologia, tra superficie e profondità. La mostra è corredata da un catalogo con un testo di Poirier.

Philippe Decrauzat, «Vertical Wave Red Transmission», 2024