È curioso che l’immagine scelta per la comunicazione di una mostra non sia in realtà visibile allo spettatore in sala. Ma l’autoritratto con cui Jacopo Benassi (La Spezia, 1970) ci guarda fisso da dietro una frangetta femminile è il simbolo dei tanti messaggi racchiusi nel lavoro presentato alla Gam-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea fino al primo settembre. La fotografia come mascheramento veritiero e al tempo stesso come verità mascherata, nella sua doppia natura ormai ampiamente riconosciuta e accettata di realtà e finzione. La fotografia nella sua capacità di emergere nonostante (e attraverso) la negazione dell’immagine vera e propria. Il ritratto come genere d’elezione della fotografia criminale e segnaletica, a cui l’artista guarda e si ispira.
Ma andiamo con ordine. La mostra «Jacopo Benassi. Autoritratto criminale», curata da Elena Volpato, nasce in occasione dell’acquisizione da parte della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea Crt dell’opera «Panorama di La Spezia, 2022», oggi nelle collezioni della Gam. Qui, in una visione originale e personalissima della città natale, l’artista sovrappone dipinti dai toni ottocenteschi e fotografie notturne di piante brutalmente illuminate dal flash che in parte coprono gli scorci del panorama ligure ritratto sulle tele. Tenuta insieme da grosse cinghie e allestita su due pareti in cartongesso, l’opera richiama l’attenzione proprio su ciò che non vediamo perché rimasto prigioniero fra una cornice e l’altra, su ciò che possiamo dunque solo immaginare o desiderare di vedere.
Un messaggio portato al parossismo nel lavoro inedito «Serie di ritratti appesi, 2024». Venti scatti di personaggi celebri (da Valentino a Nan Goldin, da John Wayne ad Ando Gilardi) e di autoritratti dell’artista sono esposti in forma di un pesante sandwich di cornici in legno di cui si vedono solo due retri. Un’operazione che riattiva il potere evocativo delle immagini, solo in apparenza condannate all’invisibilità. Fra gli autoritratti nascosti, «criminale» è definito quello di Benassi travestito da donna. Il duplice rimando è alla tradizione che fino a pochi decenni fa voleva i travestiti realmente schedati come fuorilegge, e alla lezione che l’artista apprende da Ando Gilardi (1921-2012) e in particolare dalla lettura del suo Wanted! sull’estetica della fotografia segnaletica e giudiziaria.
Ma nella scelta di Benassi di impostare i suoi (auto)ritratti in maniera segnaletica è stato decisivo anche Cesare Lombroso, che infatti appare nel grande bozzetto in gesso realizzato dall’amico Leonardo Bistolfi intorno al 1910, messo in mostra a dialogare con le installazioni dell’artista spezzino. Questi stessi codici sono usati anche nel ritrarre uno dei più orribili criminali della storia. Il fantoccio di Hitler esposto al museo delle cere di Londra è infatti fotografato da Benassi in perfetto stile segnaletico, nascosto però anche in questo caso alla vista del visitatore da uno spesso strato di vetri. «Nonostante siano le fattezze di una maschera, nonostante sia la rappresentazione di una rappresentazione, nonostante il numero ingente di vetri frapposti, la nota effigie continua a emergere, afferma la curatrice Elena Volpato. In Benassi, tutto ciò che affiora affonda, e tutto ciò che affonda riaffiora».