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Nicoletta Biglietti
Leggi i suoi articoliNulla è fermo, tutto si muove. Guido Ballo scriveva così di Bruno Munari (1907–1998), il celebre artista e designer, a cui kaufmann repetto dedica, nella sua sede milanese, la mostra «Ambienti Luminosi». A cura di Luca Zaffarano e in collaborazione con gli Archivi Bruno Munari®, l’esposizione esplora il nucleo più radicale del suo pensiero: il movimento come forma, la luce come materia, il caso come principio estetico.
Questi principi prendono forma concreta nelle Macchine inutili, ideate a partire dal 1932, che incarnano in modo immediato e tangibile la poetica del movimento e dell’instabilità. Sono oggetti mobili e sospesi, composti da elementi geometrici leggeri — cartoncino, legno, alluminio, plastica — dipinti su entrambe le facce con colori differenti. Ogni parte è collegata all’altra da un filo sottilissimo, quasi invisibile, e la struttura si muove al minimo soffio d’aria, reagendo a variazioni termiche o luminose. Non esiste una posizione definitiva: la scultura cambia continuamente, si ricompone, si disfa. L’artista costruisce il principio, il resto lo fa l’ambiente. Lo spazio non è cornice ma sostanza dell’opera. L’aggettivo «inutile» indica l’assenza di funzione apparente e di scopo necessario: c’è solo forma, luce, movimento, instabilità. Munari pone così una riflessione implicita: l’arte deve davvero avere una funzione o può essere «solo» pensiero visivo, riflessione autonoma? La risposta dell’artista è nell’opera stessa, che nega l’efficienza e celebra la dimensione gratuita del fare. Le sue sculture non servono, accadono. Sono oggetti che pensano, agiscono, vivono.
In questo contesto, la luce diventa elemento strutturale. Munari introduce nelle sue installazioni una o più fonti luminose direzionate verso la macchina affinché le ombre mobili di ogni elemento generino una proiezione mutevole. È qui che la materia si trasforma in immagine, e le ombre diventano figure astratte che si formano e si disfano nello spazio. Le Macchine inutili vivono in un equilibrio fragile tra meccanica e poesia, tra precisione e caso. Ogni minimo spostamento genera una nuova combinazione visiva. L’opera non è mai finita: continua a modificarsi con il tempo, con l’ambiente e con l’osservatore. Munari costruisce una scultura “a evento”, in cui la visione è il vero atto creativo, e il pubblico non si limita a contemplare: partecipa. Luce, ombra e caso diventano materiali. La scultura si fa percezione. In esse si dissolve la distinzione tra arte e ambiente, tra oggetto e contesto. L’opera non rappresenta: accade. L’artista rinuncia al controllo totale, lasciando spazio all’imprevisto.

Bruno Munari, «Ambienti Luminosi», 2025. Installation view, kaufmann repetto, Milan. Courtesy Bruno Munari Archivi© e kaufmann repetto Milan / New York. Credits Andrea Rossetti.
Questa apertura al movimento e al caso trova radici nelle intuizioni futuriste di Giacomo Balla e Fortunato Depero, che nel Manifesto della Ricostruzione futurista dell’universo (1915) avevano teorizzato un’arte in movimento, fatta di forme rotanti, scomposizioni di volumi e dinamiche di comparsa e scomparsa. Munari raccoglie quell’idea e la porta oltre, sospendendo le forme astratte nello spazio quotidiano. «Pensavo – disse – che sarebbe stato interessante liberare le forme astratte dalla staticità del dipinto e sospenderle in aria, collegate tra loro in modo che vivessero con noi nel nostro ambiente, sensibili all’atmosfera vera della realtà». È così che le Macchine inutili diventano apparati scenici, dispositivi percettivi, microcosmi autonomi in cui luce e aria generano brevi film astratti senza pellicola. L’ambiente diventa schermo e il tempo materia.
Nella mostra, queste sculture dialogano con le Proiezioni Dirette e le Proiezioni Polarizzate degli anni Cinquanta, raramente esposte e provenienti dagli Archivi Bruno Munari®. Qui l’artista lavora con materiali poveri e trasparenti — plastiche, cartoncino, fili di cotone, retini, liquidi, bruciature e graffiature — inseriti in telai da diapositiva e proiettati in grande formato. Le immagini si scompongono e si ricompongono, creando ambienti di luce che smaterializzano la pittura. L’opera non è più superficie ma proiezione, non più oggetto ma fenomeno. Dal 1953 Munari introduce fogli Polaroid che permettono di scomporre la luce bianca, generando colori mutevoli a partire da materiali incolori e trasparenti. Le Proiezioni Polarizzate diventano veri affreschi di luce, pitture che non si toccano ma si attraversano. «Il vivere moderno ci ha dato la musica in dischi: ora ci dà la pittura proiettata», disse nel 1954.
Queste esperienze anticipano molte pratiche immersive e installative dell’arte contemporanea. Munari non parla di tecnologia ma di percezione, non di progresso ma di leggerezza.
La mostra riunisce in due grandi ambienti macchine e proiezioni, restituendo al pubblico la complessità del pensiero visivo dell’artista. È un dialogo tra materia e luce, tra costruzione e caso, tra forma e disgregazione. Munari stesso, nel 1957, scriveva: «Il compito dell’artista è comunicare agli altri uomini un messaggio poetico, espresso con forme, colori, movimento; senza preoccuparsi se ciò che verrà fuori sarà pittura, scultura o un’altra cosa ancora»
Il percorso include anche una coppia di opere astratte degli anni Quaranta, dove forme morbide e sinuose si contrappongono a figure geometriche rigide — linee rette, diagonali, rettangoli — secondo il principio del Negativo-positivo, in cui ogni forma è autonoma e nessuna fa da sfondo all’altra. Negli anni Cinquanta, Munari riprende queste dinamiche in carte dove gli elementi sospesi rievocano la precarietà armonica delle Macchine inutili.
Chiude la mostra un gruppo di Xerografie originali, tra cui quella dedicata a Campari per l’apertura della prima linea metropolitana di Milano, da cui nascerà il manifesto Declinazione grafica del nome Campari, oggi nella collezione del MoMA di New York.
«Ambienti Luminosi» conferma la centralità di Munari come anticipatore di linguaggi e pratiche. Ma soprattutto mostra la coerenza di un pensiero che attraversa il tempo: l’arte, per essere viva, deve muoversi, cambiare, respirare. Le sue Macchine inutili non raccontano il mondo: lo fanno «solo» oscillare.

Bruno Munari, «Ambienti Luminosi», 2025. Installation view, kaufmann repetto, Milan. Courtesy Bruno Munari Archivi© e kaufmann repetto Milan / New York. Credits Andrea Rossetti.