Image

L’arena ai piedi della Tour Eiffel

Foto Giulia Foscari

Image

L’arena ai piedi della Tour Eiffel

Foto Giulia Foscari

Le Olimpiadi di Parigi come esperimento urbano

Riutilizzo dei monumenti, strutture effimere e antiretoriche, interventi di agopuntura urbana... Spunti su cui riflettere in una città sempre capace di riconfigurarsi e reinventarsi

Giulia Foscari

Leggi i suoi articoli

Assistere ai Giochi Olimpici e Paralimpici di Parigi ha rivoluzionato la mia comprensione della città, suscitando ottimismo sulle possibilità di attivare e reinventare il nostro ambiente costruito.

Non affronterò qui le problematiche sollevate dal «New York Times» sul ruolo dei «lavoratori senza documenti» nei cantieri che hanno reso possibili le Olimpiadi a Parigi, così come la necessità di indagare se l’evento olimpico abbia indotto una sorta di «pulizia sociale» di senzatetto e migranti dalle strade di Parigi, e che potrebbe attivare in futuro un processo di gentrificazione socialmente insostenibile soprattutto nella zona di Saint-Denis dove è stato costruito il Villaggio Olimpico. Non mi soffermerò neppure su altre importanti questioni, tra cui l’aumento dei livelli di inquinamento atmosferico registrato in relazione alle opere infrastrutturali di nuova costruzione a Pleyel, certa che queste pressanti sfide saranno affrontate al più presto, anche in ambito politico.

Voglio invece sottolineare due decisioni prese dagli organizzatori di questa edizione delle Olimpiadi, la terza che si tiene a Parigi nella storia dei Giochi Olimpici moderni da quando furono rilanciati da Pierre de Coubertin ad Atene nel 1896. La prima decisione chiave è stata quella di organizzare la maggior parte degli eventi, inclusa la cerimonia inaugurale, all’interno della città, nel cuore della capitale. La seconda è di ospitare il 95% delle sedi olimpiche in edifici già esistenti, e restaurati per l’occasione, o in spettacolari strutture temporanee assemblate con impalcature in alluminio comunemente utilizzate nei cantieri edili. Evitare di costruire nuove architetture faraoniche, espressione di vanità nazionalistica destinati a diventare presto relitti dal futuro incerto e indubbio spreco di energie, e reindirizzare (quasi) tutti i finanziamenti e gli sforzi all’interno della città stessa su edifici esistenti e strutture effimere è quasi una scelta visionaria.

Pur contribuendo a realizzare alcuni dei propositi del COJOP2024, il Comitato Organizzatore di Parigi (ovvero ospitare «le Olimpiadi più verdi della storia», dimezzare l’impronta di carbonio rispetto alle precedenti edizioni di Rio de Janeiro e di Londra, e incentivare le politiche ambientali a lungo termine della città) l’«esperimento urbano» avviato per i Giochi olimpici ha permesso ad atleti e visitatori di riscoprire una nuova Parigi.

Di certo, gli appassionati di sport accorsi a Parigi e gli atleti che hanno assistito a incontri di scherma e taekwondo nella navata del Grand Palais, seduti sotto una struttura con tetto di vetro realizzata con 6mila tonnellate di acciaio (ma al momento coperta da teli bianchi, in attesa della conclusione dei lavori di restauro dell’edificio, Ndr), avranno ammirato l’edificio con lo stesso entusiasmo e stupore dei visitatori dell’Exposition Universelle, tenutasi a Parigi nel 1900 in parallelo alla prima edizione parigina delle Olimpiadi. Si saranno rallegrati di sedere in stadi appena restaurati come lo Stade Yves-du-Manoir e la Piscine de Tourelles, progettati per la seconda Olimpiade parigina del 1924, e di avere la possibilità di riscoprire edifici, come l’impianto sportivo Grande Nef Lucien-Belloni con il suo tetto parabolico del 1971, che punteggiano la città di Parigi. Restaurati per l’occasione, questi edifici saranno aperti all’uso pubblico dopo le Olimpiadi.

Tuttavia, l’accesso a questi edifici non è stato l’unica sorpresa offerta a Parigi durante le Olimpiadi. Nelle sedi più simboliche e cariche di storia sono sorte arene effimere e temporanee. Gradinate in alluminio, tubi verticali, orizzontali e diagonali tenuti insieme da giunti circolari e piattaforme leggere, hanno offerto uno spettacolo inedito e suggestivo, rievocando spazi piranesiani. Esonerate dal «dover essere» icone architettoniche, queste superstrutture di impalcature disseminate in tutta la città sono apparse spettacolari. La loro felice improvvisazione e provvisorietà ha permesso al pubblico di acclamare skateboarder e ballerini di breakdance in Place de la Concorde, proprio il luogo in cui la decapitazione di Luigi XVI nel 1793, nel bel mezzo della Rivoluzione francese, portò alla caduta della monarchia; a olimpionici di pallavolo sfidarsi sotto la Tour Eiffel, anch’essa un impressionante insieme di tralicci metallici (di cui un frammento è stato incluso nella fusione delle medaglie olimpiche); e atleti del triathlon nuotare (pur tra molte polemiche, Ndr) nelle acque della Senna (l’aorta della Ville Lumière che continua a scorrere nel suo corpo portandosi dietro tutte le contaminazioni degli ambienti che ha attraversato) sapendo che i loro sostenitori sono schierati lungo le sponde del fiume su gradinate temporanee.

 

 

L’arena ai piedi della Tour Eiffel. Foto Giulia Foscari

L’onnipresenza di ponteggi è interessante anche per un altro aspetto non trascurabile, in quanto non sembra una semplice scelta di convenienza, tanto meno di ripiego, ma potrebbe essere interpretata come una lettura critica, una riflessione storica sull’efficacia della poderosa ristrutturazione urbana della città concepita con immensa determinazione da Georges-Eugène Haussmann. Incaricato da Napoleone III di «ventilare, unificare e abbellire» Parigi, tra il 1853 e il 1870 il prefetto della Senna trasformò la capitale francese in modo radicale. I quartieri medievali ritenuti sovraffollati e poco sicuri furono demoliti per lasciare il posto ad ampi viali che scorrono sopra un innovativo sistema sotterraneo di fognature e acquedotti e sono affiancati da facciate monumentali omogenee concepite sulla base di severe regolamentazioni. Favorito dalla revisione delle leggi sull’esproprio da parte del Senato francese nel 1851 e da un modello di finanziamento discutibile ma innovativo, il suo piano regolatore è stato spesso criticato per l’uso improprio di strumenti imperialistici per contrastare le agitazioni civili nel tessuto medievale di Parigi.

Facendo un salto in avanti di un secolo e mezzo, ci si potrebbe chiedere se egli possa essere inteso come la mente e l’architetto «ombra» di questa edizione delle Olimpiadi. Se la «sua» rete di ampi viali, parchi e piazze sia stata una condizione necessaria per consentire di fluire in sicurezza da una partita all’altra, da un luogo straordinario all’altro, alle centinaia di migliaia di partecipanti alle Olimpiadi e all’altrettanto sbalorditivo numero di volontari e agenti di polizia, per lo più contagiosamente gentili.

Per quanto gli interventi urbanistici imperiali abbiano senza dubbio contribuito alla facilità di circolazione nella capitale, con una creatività indotta dagli stimoli della modernità e con una libertà d’azione che fa venire a mente quella dei papi che allagavano piazza Navona per organizzare spettacolari battaglie navali, gli organizzatori delle Olimpiadi non hanno esitato a prescindere dal rigore della rete perentoria di Haussmann.

Per celebrare l’incontro tra le persone e promuovere un senso di comunità in un momento di policrisi (politica, climatica, sociale...) che richiede un’azione unitaria, è stata messa da parte l’usuale riverenza per i siti storici; per promuovere una progettazione sostenibile è stata promossa una politica di «impermanenza», sovvertendo la prassi abituale che prevede la costruzione di strutture permanenti per ospitare e celebrare eventi globali; per favorire la programmazione delle competizioni olimpiche disseminate in città, consolidate convenzioni urbane sono state messe in discussione: strade carrabili sono state pedonalizzate (persino gli Champs Elisée), ponti sono diventati spazi scenici, passerelle pedonali sopraelevate sono state costruite per dirigere e ridirigere il flusso di persone verso i campi di gara. Tutto è stato in costante movimento. Mediante interventi temporanei di agopuntura urbana, tutto è stato reinventato con elasticità e flessibilità rare.

L’impressione è stata come camminare all’interno del «Fun Palace» di Cedric Price (edificio radicale progettato nel 1961 dall’architetto d’avanguardia britannico, mai realizzato, Ndr). Ma non era un palazzo, era una città. E non una città qualsiasi, era Parigi. Una città storica nel cuore dell’Europa. Una città che spesso viene definita una città-museo, che si affanna a preservare la propria eredità. Ho visto una città capace di riconfigurarsi e reinventarsi, come poche città storiche hanno il coraggio di fare . Una città che dovrebbe invitare architetti, urbanisti e politici a ripensare a paradigmi consolidati, a sperimentare e a promuovere il cambiamento.

 

Giulia Foscari è architetto

 

 

Ponteggi in uno stadio parigino. Foto Giulia Foscari

Rue de Rivoli. Foto Giulia Foscari

Giulia Foscari, 12 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

Le Olimpiadi di Parigi come esperimento urbano | Giulia Foscari

Le Olimpiadi di Parigi come esperimento urbano | Giulia Foscari