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Le criticità del «marchio» Unesco

Le criticità del «marchio» Unesco

Enrico Bertacchini

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L’Unesco ha oggi un ruolo fondamentale nella tutela e promozione della cultura come bene comune dell’Umanità. Attraverso i suoi programmi e convenzioni, i Governi hanno posto sotto l’egida dell’agenzia dell’Onu 1.052 siti culturali e naturali, 391 espressioni del patrimonio immateriale e 116 città del mondo si fregiano del riconoscimento di «Città Creativa Unesco». A fronte di questo successo, è opportuno chiedersi quali siano i vantaggi e le criticità che la popolarità del «marchio» Unesco comporta.

Nata con la Convenzione del 1972 sulla tutela del patrimonio culturale e naturale, la Lista del Patrimonio mondiale è forse il caso più illustrativo delle sfide che l’Unesco ha di fronte per garantire l’efficacia dei suoi strumenti e allo stesso tempo adattarli alle nuove esigenze di un mondo in continua evoluzione. Gli oltre mille siti iscritti nella Lista sono un chiaro segnale dell’importanza che viene attribuita alla Convenzione degli Stati membri.

Il numero crescente di beni protetti pone però alcuni interrogativi sull’efficacia della Lista come strumento di identificazione e tutela del patrimonio mondiale. Poiché un sito deve soddisfare criteri che ne definiscono il valore eccezionale e universale per l’Umanità, il rischio è che il valore e il prestigio dei siti inclusi diminuiscano al crescere della Lista. In altre parole, quanti siti può contenere una Lista il cui obiettivo è quello di rappresentare i più importanti patrimoni dell’Umanità? Questo problema è in parte attenuato dal fatto che la definizione stessa di patrimonio è in continua evoluzione, e per questo le procedure Unesco sono state aggiornate nel tempo per accogliere nuove categorie o forme di patrimonio, come i paesaggi culturali e l’archeologia industriale. 

Un maggiore numero di siti iscritti rischia inoltre di frammentare ancora di più le risorse che possono essere destinate alla tutela dei singoli patrimoni dell’Umanità. Il budget dell’Unesco dedicato al Patrimonio mondiale ammonta a pochi milioni di dollari e, se è vero che il riconoscimento Unesco facilita l’attrazione di finanziamenti attraverso la cooperazione internazionale e progetti di tutela, questi fondi rimangono comunque delle risorse scarse a livello globale. A queste problematiche si aggiunge una crescente politicizzazione del processo di selezione delle candidature dei siti, che rischia di minare la legittimità della lista stessa.

Già nel 2010 un articolo dell’«Economist» sottolineava come i principi e le regole dell’Unesco si stessero piegando sotto la pressione degli interessi dei Paesi membri, per cui le decisioni sull’iscrizione dei siti sono sempre più influenzate da fattori di opportunità politica ed economica. Questa constatazione sembra trovare riscontro analizzando le attività del Comitato del Patrimonio mondiale, l’organo che decide sull’iscrizione dei siti ed è composto da 21 Stati membri nominati a rotazione.

Dal 2000 in poi un numero sempre maggiore di decisioni prese dal Comitato (a volte anche il 50%) sono state in disaccordo con l’iniziale valutazione tecnica espressa dai due organismi consultivi, l’Icomos) e l’Iucn (International Union for Conservation of Nature). E in generale la tendenza è stata di migliorare il giudizio finale sulla candidatura rispetto a valutazioni tecniche più negative. Ma come spiegare questa pressione verso l’iscrizione? 

Le motivazioni a ottenere l’iscrizione di un sito sono diverse e molte volte complesse, ma una delle più comuni critiche mosse alla Lista del Patrimonio mondiale è quella di essere diventato uno strumento di promozione turistica, mentre gli ideali originali della Convenzione erano quelli di porre sotto i riflettori della comunità internazionale la salvaguardia dei più importanti tesori dell’umanità. Considerando che il turismo mondiale è triplicato dagli anni ’70 a oggi e che i luoghi inseriti nella Lista dell’Unesco sono tra le destinazioni più visitate al mondo, si capisce come il marchio Unesco possa essere ambito da molti per utilizzarlo come strumento di marketing territoriale o per rafforzare il posizionamento di un Paese nel mercato turistico internazionale. Il nesso tra riconoscimento Unesco e attrattività turistica non è però così scontato.

Alcune ricerche evidenziano come l’ingresso nella Lista del Patrimonio mondiale aumenti la copertura mediatica dei siti a livello internazionale, ma non porti direttamente a un incremento dei flussi turistici. Ciò che invece sembra emergere sempre più chiaramente sono gli effetti positivi che la candidatura di un sito nella Lista del Patrimonio mondiale può avere sulla capacità di catalizzare le energie degli attori del territorio verso un obiettivo comune e condiviso di valorizzazione, un processo che non implica solo la capacità di attrarre turisti, ma anche quella di generare sviluppo locale facendo rete e costruendo nuove identità per i territori. In questa prospettiva, la Lista Unesco può diventare un prezioso laboratorio per dimostrare come la valorizzazione dei patrimoni sia un fattore di sviluppo sostenibile: una visione non scontata del ruolo della cultura, soprattutto in casi in cui la tutela è percepita come un ostacolo ai progetti di sviluppo economico.
 

Enrico Bertacchini, 13 dicembre 2016 | © Riproduzione riservata

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