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Solo un’artista visionaria, poetica e sapiente (sapiente anche nell’uso dei materiali e delle pratiche più diverse) come è Chiara Dynys (Mantova, 1958) avrebbe potuto pensare di trasformare in un tratto di «mare» la Sala Stirling, quello spazio ipogeo di Palazzo Citterio-Grande Brera che con il suo cemento bruto e le sue forme rigide e severe è quanto di meno naturale si possa immaginare.
Eppure, dall’8 maggio al 7 settembre, la sua imponente installazione site specific «Once Again», curata da Anna Bernardini (catalogo Allemandi, in collaborazione con Archivio Chiara Dynys qui rappresentato da Alessandro Castiglioni e Giuseppe Cristian Bonanomi, e da un testo di Giorgio Verzotti), farà di quel luogo sotterraneo un mare in cui grandi onde si susseguono e frangono sulla battigia, «come in un “eterno ritorno” nietzschiano», spiega l’artista.
Per questo lavoro Chiara Dynys si è ispirata a una macchina scenica del Seicento che le ha suggerito queste gigantesche «onde» (12 metri per dieci, per oltre tre di altezza), ipnotiche nel reiterarsi del loro moto e capaci di avvolgere e coinvolgere intensamente i visitatori, che potranno osservarle dall’alto, ma anche scendere fino alla «battigia» e camminare ai lati.
A creare quel mare volutamente artificioso, proprio come accadeva nel teatro barocco che cercava lo stupore e la meraviglia, sono tre grandi rulli su cui si srotolano i frangenti che sovrastano l’osservatore, realizzati a mano con un polistirene scolpito a caldo e laboriosamente dipinto dall’artista.
Al centro il pilastro portante, sul cui fusto e ai cui piedi sono incise nel metacrilato le parole luminose e opalescenti «Once/Again», diventa la metafora di un faro, con tutti i millenari significati simbolici che questa immagine comporta.
«Immerso in un’avvolgente azzurrità attraverso un grande lavoro di luce, racconta Chiara Dynys, il moto delle onde è ipnotico perché dichiaratamente artificioso, eppure evocativo di tutto ciò che il mare significa per la vita di tutti, dalle vacanze sulla spiaggia alla grande avventura verso l’ignoto: tutto è falso, un po’ rumoroso nel movimento, eppure lo spettatore è invitato, quasi costretto a “ritrovarsi al mare”, data la forza immaginativa del soggetto e il voluto contrasto con la sua antica realizzazione fisica. Quel mare deposita sulla riva alcune mie parole sul tema dell’acqua, dipinte a terra, in colori diversi e fluorescenti, con la mia calligrafia».
A introdurre i visitatori in questo mondo fantastico è una sorta di portale luminoso realizzato a mano in vetro opalescente con bagliori d’argento, al centro del quale è incastonata una grande forma prismatica che ricorda una gemma blu iridescente. S’intitola «Blue Gate» e sovrasta con la sua luce l’ingresso alla Sala Stirling, trasformandosi, spiega l’artista, in «una soglia del mare».
Come afferma la curatrice, Anna Bernardini, in questo lavoro di Chiara Dynys «ancora una volta il teatro, la tecnologia, l’immaginario filmico, la natura, la luce e lo spazio risuonano e si fondono nel suo vocabolario artistico, costruendo le forme e il movimento anche negli inganni percettivi della realtà», mentre Angelo Crespi, direttore generale della Pinacoteca di Brera, evidenzia come con la personale di Chiara Dynys, che segue quella di Mario Ceroli, prosegua l’impegno della Pinacoteca nell’arte del nostro tempo, con il preciso intento di tornare a «fare di Brera il motore dell’arte contemporanea italiana, così come è stato agli inizi dell’Ottocento, agli inizi del Novecento, e nel periodo del dopoguerra».