Frammento di soffitto affrescato dagli scavi del Macchiozzo

Foto: Columbia University, progetto Apaha Tibur

Image

Frammento di soffitto affrescato dagli scavi del Macchiozzo

Foto: Columbia University, progetto Apaha Tibur

Le policromie inedite di Villa Adriana

Nella dimora di Tivoli si possono vedere brani di pittura mai visti prima o custoditi nei magazzini e scoprire quelli ancora in situ. Il prossimo febbraio anche un convegno sulle tecniche che contraddistinguono affreschi, intonaci e frammenti

Una delle più antiche testimonianze sull’aspetto di Villa Adriana è un’iscrizione votiva in versi proveniente dal vicino santuario termale delle Aquae Albulae, oggi Bagni di Tivoli: significativamente, del complesso imperiale l’epigramma mette in rilievo le «frontes pictae», la variopinta facciata. A tutta prima ciò sembrerebbe contrastare con le ragioni della fama del sito in epoca moderna, fama che, a differenza di quella della Domus Aurea con le sue grottesche, non deriva dalla pittura, ma si deve in primo luogo alle sue audaci architetture, le quali hanno ispirato maestri da Palladio a Le Corbusier, nonché alle sue innumerevoli statue, distribuite in musei e collezioni di mezzo mondo. In realtà è probabile che l’epigramma antico, più che riferirsi alla pittura in quanto tecnica, intendesse soprattutto evocare l’effetto prodotto dalla policromia degli ambienti. Fra lastre di rivestimento cavate da ogni angolo dell’impero, mosaici (figurati e non) realizzati con minute tessere dalle mille tonalità e sfumature, tarsie composte vuoi di pietre dure vuoi di pasta vitrea, stucchi multicolori, gli intonaci dipinti non erano che una delle numerose componenti che contribuivano alla ricchezza coloristica degli spazi della villa, e non necessariamente l’opzione più alta nella gerarchia delle tecniche e dei materiali.

Ciò detto, la pittura nemmeno era un elemento subordinato dell’apparato decorativo del complesso. A riprova, basterebbero i due maestosi riquadri incassati nelle pareti della grande sala prospiciente il Giardino-Stadio, i quali fungevano da alloggiamenti per dipinti monumentali: degli equivalenti, possiamo immaginare, dei teleri di un Veronese o di un Tintoretto, forse capolavori di maestri della Grecia classica. Inoltre pareti, volte e soffitti affrescati secondo i gusti e le tendenze estetiche della pittura del II secolo si incontravano quasi a ogni angolo di Villa Adriana, anche se quel che ci è giunto è solo una piccola parte dell’originale.

Parte piccola, forse, ma non minima né insignificante, anche in considerazione delle scoperte che negli ultimi anni hanno accresciuto considerevolmente il corpus di esempi noti. La mostra «Nel segno del Capricorno», allestita a Villa Adriana dal 18 dicembre al 30 marzo 2025, si propone di (ri)portare all’attenzione e valorizzare questo ricco repertorio artistico. Fortemente voluta dal direttore Andrea Bruciati e da lui organizzata insieme a Veronica Fondi, la mostra presenta un’ampia selezione di pezzi, sia inediti sia noti ma custoditi per anni nei magazzini. L’esposizione vera e propria, allestita negli spazi dei Mouseia, è integrata da vari percorsi attraverso la villa che invitano i visitatori a scoprire i brani di pittura ancora in situ. Contestualizzazione, frammentarietà, qualità: questi alcuni dei principali temi chiave su cui la mostra si impernia. 

La rilevanza del contesto ai fini di un corretto apprezzamento della pittura può sembrare argomento un po’ polveroso, da specialisti. A Villa Adriana, tuttavia, esso acquista un sapore speciale in virtù dei rinvenimenti effettuati a partire dal 2014 nella zona cosiddetta del Macchiozzo dall’équipe della Columbia University di New York. I nuovi edifici portati in luce dagli scavi erano infatti abbelliti da pareti e soffitti affrescati che si sono in buona parte conservati. Edicole dalle esili architetture, ampi campi rossi e gialli, delicati steli vegetali, ghirlande, grifoni, maschere sono alcuni dei tanti elementi di un ricco repertorio decorativo volto a conferire eleganza agli ambienti di quelle che probabilmente erano residenze per funzionari o addetti della villa di medio-alto rango. Significativamente, alcuni di questi elementi ornamentali sono rispecchiati anche nella decorazione dei pavimenti delle relative stanze, a testimonianza del fatto che mosaicisti e pittori lavoravano in maniera coordinata. Particolarmente interessanti sono gli intonaci dei soffitti, originariamente aderenti a graticci pendenti dalle travi, i quali sono stati rinvenuti sui pavimenti nella posizione in cui vi crollarono in epoca tardoantica: le tracce in negativo lasciate dalle canne dei graticci hanno guidato la ricomposizione dei pezzi del puzzle, i più cospicui dei quali sono qui presentati mostrandone sia il recto sia il verso.

Non meno intriganti sono i frammenti inaspettatamente rinvenuti nello scantinato di un edificio moderno ubicato nell’area della cosiddetta Palestra, dove erano stati accumulati nel Settecento per essere poi dimenticati fino alla loro recente riscoperta e allo studio attualmente in corso da parte dell’Università di Roma Tor Vergata. Si tratta di un gruppo di materiali notevolissimo: i pezzi, più di 500, propongono una serie di motivi distinti da quelli appena citati del Macchiozzo e basati su una diversa palette cromatica, ma proprio perciò tanto più interessanti: rosoni, palmette, dentelli, occhi di pavone, fiorellini e via dicendo. La giacitura secondaria di questi frammenti ci pone di fronte a sfide complesse riguardanti la ricostruzione, la contestualizzazione, nonché la stessa cronologia (non va dimenticato che a Villa Adriana vi sono anche pitture tardoantiche, a testimonianza della longevità del sito). In attesa che analisi e studi, e in primo luogo un convegno sulla pittura adrianea previsto per il febbraio 2025, permettano di avanzare ipotesi e confrontare idee, i visitatori della mostra possono in ogni caso godere dell’alta qualità estetica di questi lacerti di pittura e approfittare proprio del loro carattere frammentario per gustarne i preziosi dettagli (come anche, passando da una prospettiva ravvicinata a uno sguardo d’insieme, metterli a raffronto con esempi più estesamente conservati e ancora in situ quali le volte del Serapeo, dove tra l’altro figurano gli animali fantastici i cui rieccheggiamenti astrologici danno il nome alla mostra).

Perché, se vi è un aspetto incontrovertibile che accomuna i vari pezzi inclusi in mostra, questo è il loro livello qualitativo, che riguarda non solo la dimensione estetica ma anche la materialità dei pigmenti: colpisce, per fare solo un esempio, l’uso del cinabro per il rosso, in un’epoca in cui tale costoso materiale è praticamente assente da un centro di produzione pittorica vivace come Ostia. Che l’imperatore potesse permettersi lussi non raggiungibili altrove non stupisce. Meno scontato, forse, è che, come suggeriscono gli ambienti del Macchiozzo, di tale lusso potesse almeno in parte beneficiare pure il personale al servizio del sovrano. E adesso, con questa mostra, anche il visitatore contemporaneo è in grado di condividere un po’ del piacere che fu di Adriano.

Francesco De Angelis, 16 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

Le policromie inedite di Villa Adriana | Francesco De Angelis

Le policromie inedite di Villa Adriana | Francesco De Angelis