Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Olga Scotto di Vettimo
Leggi i suoi articoli«Non sono più un antropologo. L’antropologia mi ha instillato il dubbio, dubbio verso ciò che è più ovvio, dubbio verso ciò che è più piacevole, dubbio verso ciò che è più egoisticamente utile, dubbio verso ciò che è oscuro e difficile, dubbio verso ciò che è doloroso, distruttivo o inutile. Il dubbio che intendo è quello verso qualsiasi cosa. L’antropologia mi ha fatto il dono del dubbio continuo. Ma la scultura mi ha obbligato a usarlo». Così ha descritto il proprio processo trasformativo Richard Nonas (New York 1936-2021), antropologo culturale di formazione che, dopo aver sviluppato per circa dieci anni ricerche sul campo sugli indiani d’America nel nord dell’Ontario, in Canada, nel nord del Messico e nel sud dell’Arizona, si è infine dedicato all’arte, esponendo per la prima volta in una collettiva al 112 di Greene Street a New York nel 1970.
In mostra dal 21 marzo al 10 maggio nelle sedi dello Studio Trisorio (Riviera di Chiaia e via Carlo Poerio) 15 sculture in legno e 5 in acciaio (realizzate tra il 2009 e il 2020), assieme ad alcune rare opere su carta degli anni ’60 e ’90, raccolte sotto il titolo «Continental Drift. Wood, paper, steel», esposizione realizzata in collaborazione con Jan Nonas e Stefan Zeniuk.
L’arte era dunque per Nonas il nuovo campo di azione in cui far confluire le precedenti esperienze e ricerche antropologiche. Interessato al modo in cui le culture native concettualizzavano lo spazio, i lavori dell’artista statunitense sono, pertanto, strumenti per attivare percorsi esperienziali e per sperimentare collettivamente stati emotivi ambigui e inspiegabili, creando intense e instabili relazioni tra osservatore, oggetto e contesto. «Lavoro con oggetti semplici che creano un’emozione umana complessa. Vidi che oggetti semplici erano frammenti che potevano convogliare un’emozione umana complessa verso una via istantanea, immediata, indivisa che non era alla portata delle parole», dichiarava nei suoi numerosi testi in cui declinava i concetti di «space» e «place» nelle diverse culture.
Le sculture in mostra a Napoli sono elementi semplici: realizzate in legno e acciaio, fungono da dispositivi trasformativi dei luoghi, che si offrono come spazi simbolici ed emozionali. Collocate all’interno o all’esterno, in gruppo e singolarmente, sono disposte secondo precise geometrie e coreografie sul pavimento (quadrato, triangolo, cerchio aperto, a forma di «x») oppure alle pareti, contribuendo a costruire nuovi ambienti esperienziali attraversabili.