Sette giovani uomini, sette ragazzi che l’obiettivo coglie nella loro vita quotidiana, fatta di telefoni cellulari, sguardi penetranti e resistenza. Sette donne, sette madri che aspettano impotenti in mezzo alla strada, che li piangono su una tomba. Questo è il focus della mostra di Sakir Khader, dal titolo «Yawm al-Firak», ovvero «il Giorno della Separazione» in arabo, allestita al Foam di Amsterdam fino al 14 maggio.
«Yawm al-Firak» è la prima mostra personale del fotografo, che è il primo palestinese selezionato per entrare a far parte del collettivo Magnum Photos. Con le sue fotografie in bianco e nero, Khader ci risveglia dal torpore truce del flusso di immagini che arriva costante dalla guerra in Palestina, portando la nostra attenzione a Jenin, nel cuore dell’occupazione, esplorando il confine tra vita e morte, indagando il tema dell’addio durante un conflitto.
Immagini, ma anche storie da leggere, nomi da ricordare: sette casi a simboleggiare le centinaia di migliaia di palestinesi separati dalla loro terra e dai loro cari, a partire dalla Nakba, il grande esodo iniziato nel 1948. Il titolo della mostra, del resto, fa riferimento a un antico «nasheed», un poema arabo sotto forma di canto che parla del dolore profondo e sordo che si impossessa di chi resta, di chi deve imparare a sopravvivere ancora e ancora vedendo morire i propri cari. In questo caso, le madri di ragazzi sospesi per sempre nel limbo tra infanzia ed età adulta, spesso annoverati come potenziali terroristi, colpevoli di non essere più semplicemente bambini. Lo stesso Khader scrive in un post su Instagram di come questa mostra rappresenti un successo sotto vari punti di vista. «Ho studiato lo sguardo occidentale verso est, la sua cecità selettiva, le sue distorsioni e le sfide che ne derivano. Ho messo alla prova i confini, spingendoli con attenzione, sempre alla ricerca di un modo per superarli. Ma fare qualcosa di diverso, veramente diverso, non è mai facile», afferma, facendo riferimento alle critiche legate al titolo di un suo precedente lavoro «Ritratto di un martire», vincitore del Silver Camera award e tacciato di antisemitismo dal «Times of Israel». Racconta di come abbia trovato il modo di rappresentare la sua patria liberandosi dalle aspettative e dalla sovrastruttura dello sguardo occidentale, trovando infine un linguaggio che unisce il reportage alla poesia.
Una mostra fatta di fotografie e testi in cui ci viene chiesto di guardare oltre le statistiche e la retorica politica. Le conseguenze dell’occupazione risultano nero su bianco, in un prima e dopo fatto di istanti in cui viene aperto il baratro della separazione.
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Sakir Khader, «The final homecoming a farewell before the burial Qabatiya Jenin 2023». © Sakir Khader Magnum Photos