Francesca Romana Morelli
Leggi i suoi articoliAttilio Simonetti (Roma, 1843-1925), pittore, incisore e antiquario, è stata una figura poliedrica. Divenuto allievo di Mariano Fortuny, al quale si lega di fraterna amicizia, negli anni Settanta dell’Ottocento apre un atelier a Palazzo Altemps (sede del Museo Nazionale Romano) e, grazie anche al mercante francese Adolphe Goupil, ottiene ampi riconoscimenti dal collezionismo internazionale, tra cui la famiglia Rothschild.
Al 1861, in compagnia di Fortuny, risale il suo primo viaggio a Napoli, dove stringe amicizia in particolare con Giuseppe De Nittis, che frequenterà anche a Parigi. Nel 1877 a Napoli all’Esposizione Nazionale di Belle Arti espone una coppia di dipinti («L’Araldo» e «Il Tamburo»), acquistati per la sua collezione privata dal principe Umberto, un mese dopo incoronato re d’Italia. In quell’occasione il futuro Umberto I acquista anche un grande dipinto per il Museo di Capodimonte, oggi visibile all’Avvocatura generale dello Stato di Napoli.
Nel frattempo, cresce anche la passione antiquaria di Simonetti. Crea una raccolta eccezionale di tessuti e abiti antichi, tanto che nel Carnevale romano del 1880 sfilano 60 personaggi con vestiti seicenteschi di sua proprietà. I suoi abiti, inoltre, sono richiesti anche dagli artisti. Nel 1883 a Roma organizza una prima asta attraverso la quale aliena una parte della sua collezione. In seguito, apre una galleria antiquaria a Palazzo Simonetti rilevato dai principi Odescalchi in Prati.
Ora le due opere acquisite dal principe Umberto e tornate nel 1946 agli eredi di Simonetti, sono esposte dal 20 marzo al 4 maggio nella monografica che gli dedica il pronipote Giovanni Carboni, titolare della Goffi Carboni Antiquariato. «Dopo avere creato l’Archivio Simonetti nel 2020 per rispondere alle richieste di studiosi, collezionisti e musei internazionali, spiega l’antiquario, ho organizzato una mostra su un aspetto inedito della produzione di Simonetti: dipinti, acquerelli, disegni e incisioni rimasti sempre di proprietà dei suoi discendenti. Opere lontane da compromessi con il gusto dominante del tempo, perché non dipendendo dalla vendita continua delle sue opere ebbe la libertà di seguire nuove ispirazioni e soggetti a lui più consoni e originali, come nel caso dell’olio “Il pascolo dei tacchini” del 1885».
Esposto anche un «Autoritratto» (1863 ca), in cui il giovane pittore mostra una certa inquietudine nello sguardo e si posiziona appena a destra del dipinto. Il catalogo (Campisano Editore), curato da Carboni e che sarà presentato al Museo Fortuny di Venezia l’8 marzo, ha l’introduzione di Cristina Da Roit, responsabile del Museo Fortuny di Venezia, e i saggi, oltre che del curatore, di Eugenia Querci e di Alessandra Imbellone.
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