«È dall’ironia che comincia la libertà», sosteneva Victor Hugo. Ed è attraverso l’ironia che l’arte, specialmente a cavallo del millennio, dal dopoguerra a oggi, ha scardinato luoghi comuni, modi di pensare e interi sistemi, tra cui quello dell’arte. Ad analizzare la dimensione ironica e il potere immaginativo della produzione artistica italiana degli ultimi settant’anni è la mostra «Facile ironia. L’ironia nell’arte italiana tra XX e XXI secolo», curata dal direttore Lorenzo Balbi con Caterina Molteni, visibile al MAMbo-Museo d’Arte Moderna di Bologna dal 6 febbraio al 7 settembre, organizzata per il 50mo anniversario della fondazione della Galleria d’Arte Moderna di Bologna.
Un centinaio di opere di una settantina di artisti e rari documenti d’archivio ripercorrono le varie declinazioni che l’ironia ha assunto attraverso voci e linguaggi. Si spazia dalla dimensione ludica sviluppata da Bruno Munari con un approccio interattivo e interdisciplinare, per esempio nelle «Macchine inutili» che liberano le forme geometriche da una rigida staticità, alle opere di Gino De Dominicis, quasi sempre basate su spiazzanti paradossi. E poi Maurizio Cattelan, maestro del sarcasmo con opere e azioni spesso estreme e dissacranti, come l’emblematica «Comedian», la banana appesa al muro con il nastro americano concepita nel 2019, venduta lo scorso 20 novembre da Sotheby’s per 6,2 milioni di dollari. Poetica e sognante l’ironia di Paola Pivi autrice, tra l’altro, dell’imponente orso bianco ricoperto di morbide piume e accucciato sul pavimento. Più tagliente, invece, l’intervento di Chiara Fumai, sue opere come «Annie Jones, Harry Houdini, Dope Head, Eusapia Palladino, Zalumma Agra, Dogaressa Querini Read Valerie Solanas» (2013) sono un invito a combattere la società patriarcale che dilaga anche e ancora nel mondo dell’arte. E poi opere di Piero Manzoni, Piero Gilardi, Michelangelo Pistoletto, Tomaso Binga, Mirella Bentivoglio, Francesco Vezzoli, fino alla riflessione sui meme elaborata dal duo artistico Eva e Franco Mattes. Vero e proprio antidoto alle storture della realtà, l’ironia «è raccontata in mostra attraverso macro-aree tematiche: il paradosso, il suo legame con il gioco, l’ironia come arma femminista di critica al patriarcato e all’ordine sociale italiano, la sua relazione con la mobilitazione politica, l’ironia come forma di critica istituzionale, come pratica di nonsense e infine come dark humor», spiegano dal museo.
Altro appuntamento e altra voce eclettica della storia dell’arte contemporanea è Carol Rama, protagonista a Villa delle Rose della monografica «Unique Multiples», curata da Elena Re, visibile fino al 30 marzo e interamente dedicata al corpus di multipli prodotto da Carol Rama tra il 1993 e il 2005 con Franco Masoero Edizioni d’Arte-Torino.
Torinese, borghese, autodidatta, nata nel 1918 e scomparsa nel 2015, ha attraversato con le sue produzioni quasi un secolo e due millenni, l’ultima sua opera conosciuta è del 2007. Animali, protesi, falli, parti anatomiche, feticci, realizzati con uno stile essenziale e naif e che hanno fatto spesso gridare allo scandalo in molti salotti perbene (nel 1945 le sue opere furono poste sotto sequestro), Carol Rama realizza con Masoero una nutrita serie di multipli (proveniente dalla Collezione Franco Masoero e Alexandra Wetzel) che rispecchiano i temi e capisaldi della sua produzione. Molte delle tavole esposte sono accompagnate da opere e dipinti «gemelli» e bozzetti unici. Nota per i suoi bricolage rudi e scabrosi, in cui inseriva unghie, capelli, copertoni, Carol Rama affronta nel suo lavoro pulsioni distruttive, morte, eros e thanatos, fantasie represse, traumi fisici e psichiatrici, «Io dipingo per guarire», ripeteva spesso l’artista.
Tra gli appuntamenti del museo anche un’importante personale della svizzera Silvia Bächli, curata da Lorenzo Balbi con una serie di opere inedite poste in dialogo con il patrimonio di Casa Morandi. Le linee e le atmosfere essenziali, i vuoti e i pieni delineati dall’artista sono profondamente affini alle nature morte di Morandi, con cui Bächli condivide inoltre una lunga e meditata fase di ideazione delle opere. Nella Project room, invece, la personale di Valeria Magli, un’indagine sulla figura femminile e sulla definizione della donna: i lavori esposti, realizzati dagli anni Settanta ai Duemila e ispirati al mondo della danza, liberano il corpo da significati e categorie stereotipati «delineando una danza anti-spettacolare attraverso la grammatica del mimo, della tap-dance, dell’agonismo sportivo (acrobatica e ginnastica), del cabaret e del soubrettismo», spiegano dal museo. Infine a Casa Morandi le fotografie di Alessandra Spranzi della serie «Sul tavolo #80» (2014-24) selezionate da Lorenzo Balbi, piccole variazioni di un medesimo soggetto per esplorare le pieghe del tempo e dello spazio.