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Natalia Goncarova, «Un soldato che lava i cavalli», 1910

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Natalia Goncarova, «Un soldato che lava i cavalli», 1910

L'odissea di Casimir e Natalia

La battaglia legale della Galleria Shchukin per la restituzione di 5 dipinti di Malevic e Goncarova del valore di 63 milioni di dollari

Daniel Cassady

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La Shchukin Gallery porta avanti da tempo una battaglia legale per ottenere la restituzione di alcune opere di Casimir Malevic e di Natalia Goncarova, stimate nel complesso 63 milioni di dollari, che le sarebbero state sottratte da un finanziere russo e da allora irreperibili. Nel 2013 Nikolai e Marina Shchukin, i coniugi proprietari della galleria, erano in cerca di capitali con cui finanziare l'acquisto di cinque dipinti degli inizi del XX secolo, tre di Malevic (1878- 1935) e due della Goncarova (1881-1962).

Fu un loro cliente, il finanziere russo Rustam Iseev, a metterli in contatto con l’investitore Vladislav Gershkovich. Quell’incontro ha dato il via a un’annosa, e amara, sequenza di procedimenti giudiziari multigiurisdizionali, il più recente dei quali avviato lo scorso aprile dall'avvocato degli Shchukin Stephen Weingrad. La richiesta dell’avvocato Weingrand per quella che lui definisce «una situazione di arte in ostaggio» è di quasi 950 milioni di danni e spese legali.

Stando a Weingrad, Gershkovich avrebbe aiutato la Shchukin Gallery ad acquistare i dipinti in cambio di una percentuale sulla somma che la galleria avrebbe incassato dalla vendita delle opere. Un anno dopo la Shchukin Gallery, già proprietaria di spazi a Parigi e in Estonia, apriva una sede a New York, nel quartiere di Chelsea, con una sala dedicata esclusivamente ai cinque dipinti in questione. A luglio 2015 il gallerista Alex Rosenberg, chiamato per una consulenza, stimò il valore complessivo dei cinque dipinti in 63 milioni di dollari. A quel punto, sostiene Weingrad, Gershkovich pretese che gli Shchukin gli garantissero un ritorno sul suo investimento o la restituzione dei soldi. Anche se i dipinti non erano ancora stati venduti chiedeva interessi più elevati sull’investimento originario e un maggior controllo sulle opere.

Un mese dopo Iseev metteva in contatto Shchukin con un potenziale acquirente. Il contatto di Iseev, un oligarca russo, era interessato all'acquisto di tutte e cinque le opere, ma a una condizione: prima di impegnarsi nell'acquisto voleva vedere i dipinti appesi alle pareti del suo appartamento newyorkese. «Normalmente, quando un’opera passa di mano si firma un pezzo di carta, come una ricevuta o una bolla. Mi pare sensato, no?», fa notare Weingrad. «Sulla base di un accordo verbale, secondo il quale avrebbe portato i dipinti nell'appartamento dell’oligarca, e di una stretta di mano, Iseev vola a New York e carica le opere su un camion. Shchukin, prosegue Weingrad, era eccitatissimo all’idea della vendita, ma quando chiese a Iseev di firmargli un documento il finanziere girò i tacchi e se ne andò».

Quel che ne è seguito è stato un fiume di negoziati e accordi transattivi, seguito da cause intentate negli Stati Uniti, in Francia ed Estonia, con più parti che si arrogano diritti sui dipinti. Dipinti la cui ubicazione, sempre secondo l’avvocato Weingrad, dal 2015 è stata tenuta celata a Shchukin. Stando ai documenti depositati da Weingrad in tribunale, Iseev, che aveva nascosto le opere «dirottate» in un magazzino di Chelsea si rifiutava di restituirle senza un accordo firmato, sostenendo per di più di avere diritto a una percentuale di 2 milioni per i dipinti, in virtù di un documento retrodatato al 2013 per avvalorare un suo presunto prestito a Shchukin, quasi in contemporanea con la presentazione al gallerista di Gershkovich. Pochi mesi dopo, a ottobre 2015, Gershkovich rimetteva mano all’accordo con Shchukin, questa volta ottenendo il 50% della proprietà di due dipinti di Goncarova e di due dipinti di Malevic.

Tutti quegli accordi, sostiene ora Weingrad, erano subordinati alla restituzione delle opere a Shchukin: se la galleria non avesse firmato non le avrebbe riavute indietro. Ma senza le opere la galleria non avrebbe mai potuto ripagare il debito che aveva contratto. A maggio 2016, Iseev, Gershkovich e Shchukin di comune accordo stabilivano di appianare le divergenze e di servirsi delle opere come garanzia per ottenere un prestito presso la Berlin Bank di Parigi. L’istituto bancario rivide la valutazione fatta a suo tempo da Rosenberg e, avendo le opere in pegno, convenne di prestare a Shchukin 5 milioni di dollari. Da parte sua Iseev s’impegnò a spedire i dipinti alla banca parigina. Il 18 maggio usò persino la sua carta di credito per coprire i costi di spedizione, ma pochi minuti dopo averlo confermato annullò l’invio.

Lo stesso giorno, in una causa intentata contro Shchukin, un tribunale in Estonia si pronunciava a favore di Gershkovich, risolvendo l'accordo di comproprietà e assegnandogli pieni diritti sui dipinti. A Gershkovich erano inoltre riconosciuti gli interessi su una serie di proprietà di Shchukin, nonché il diritto di confiscare i fondi di determinati conti bancari e partecipazioni nelle gallerie. Nella sua istanza Weingrad afferma che fu Gershkovich o il suo avvocato (che oltretutto rappresenta anche Iseev) a chiamare Iseev per chiedergli di annullare la spedizione delle opere.

L’istanza presentata da Weingrad ad aprile chiede al tribunale di far rispettare gli accordi transattivi che Iseev e Gershkovich hanno raggiunto con Shchukin e di porre un ordine restrittivo su tutte le altre sentenze. Irina Frolova, l'avvocato di Gershkovich, non sembra particolarmente intimorita: «La recente istanza non è altro che il tentativo di Weingrad di usare la stampa per danneggiare la reputazione delle controparti», ha dichiarato in una mail alla nostra testata partner in lingua inglese, «The Art Newspaper». Il caso continua.
 

Natalia Goncarova, «Un soldato che lava i cavalli», 1910

Daniel Cassady, 13 maggio 2021 | © Riproduzione riservata

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