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Luc Delahaye, «Un comizio del candidato dell'opposizione Alexander Milinkevich», 2006

© Courtesy Luc Delahaye et Galerie Nathalie Obadia, Paris/Bruxelles

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Luc Delahaye, «Un comizio del candidato dell'opposizione Alexander Milinkevich», 2006

© Courtesy Luc Delahaye et Galerie Nathalie Obadia, Paris/Bruxelles

Luc Delahaye e la visione allargata delle situazioni umane

Al Jeu de Paume di Parigi una quarantina di grandi formati, soprattutto a colori, che ripercorrono gli ultimi 25 anni di carriera del fotografo francese

«Arrivare tramite una forma d’assenza, forse di incoscienza, a un’unità con il reale. Un’unità silenziosa. Per questo, la pratica della fotografia è una cosa piuttosto bella: permette questa riunificazione di sé con il mondo»: se il giornalismo esige rapidità, l’arte di Luc Delahaye, fotoreporter francese di guerra, sin dagli anni Ottanta si fonda sul tempo lungo. Nel suo lavoro la fotografia, senza cedere alle pressioni della realtà, si libera dall’urgenza della cronaca e sceglie un approccio più documentario, prendendosi il tempo dell’osservazione, per superare i confini tra arte, storia e informazione.

Il Jeu de Paume di Parigi ospita dal 10 ottobre al 4 gennaio 2026 la prima grande retrospettiva parigina di Luc Delahaye da vent’anni, curata da Quentin Bajac, direttore del museo dal 2019: Delahaye «fa parte di una generazione di fotografi che ha rielaborato l’articolazione tra pratiche documentarie e dimensione artistica», si legge in una nota del Jdp. La mostra porta un titolo evocatore: «Le bruit du monde», il frastuono del mondo, dei conflitti, delle crisi umanitarie, dall’Iraq all’Ucraina, da Haiti alla Libia, e quello dei luoghi che lo comandano, dalle sale dei Consigli delle Nazioni Unite alle conferenze Cop sui cambiamenti climatici, che Delahaye registra nei suoi scatti. Il museo raccoglie una quarantina di grandi formati, soprattutto a colori, che ripercorrono gli ultimi 25 anni di carriera del fotografo.

Alcune opere non sono mai state esposte prima, altre sono state finalizzate appositamente per il Jdp, tra cui una videoinstallazione sul conflitto in Siria su cui Delahaye lavora da una decina di anni: «Soldats de l’Armée syrienne, Alep, novembre 2012». Questa complessa composizione è un esempio della logica di osservazione prolungata abbracciata dal fotografo, per cui, anche se l’opera è completata anni dopo la presa dell’immagine iniziale, il fotografo mantiene nel titolo la data originaria, come segno di fedeltà all’istante. È questa tensione tra immersione emotiva e distacco critico, tra realtà e rappresentazione, a definire il lavoro di Delahaye.

Nato a Tours nel 1962, ha iniziato come fotoreporter collaborando con Sipa Press, poi con Magnum Photos (dal 1994 al 2004) e Newsweek. Ha pubblicato diversi libri d’autore, tra cui Portraits/1 (1996), una raccolta di ritratti in formato fototessera di senza tetto, Mémo (1997), che riunisce i ritratti di vittime della guerra in Bosnia, e L’Autre (1999), una raccolta di scatti rubati di viaggiatori anonimi dei metrò. Delahaye ha documentato diverse zone di conflitto: Libano, Afghanistan, Ruanda, Cecenia, ex Jugoslavia.

A partire dal 2000, e in particolare con il reportage pluripremiato «Winterreise» nella Russia postcomunista, compie un vero salto stilistico: abbraccia la fotocamera panoramica per produrre scatti di formato medio-grandi, adatti più alle sale dei musei che alle pagine dei giornali, un tipo di formato che, spiega il Jdp, «permette un ampliamento della visione, una messa a distanza del soggetto e una lettura aperta. L’operatore sembra assente; lo spettatore non è mai nell’immagine, ma di fronte ad essa. Il panorama diventa per Delahaye un mezzo per costruire uno spazio di osservazione privo di affetto, propizio a una visione allargata delle situazioni umane». Dal 2005, poi, alla fotografia panoramica viene integrata un’altra forma di linguaggio: la creazione di composizioni digitali a partire da più immagini costruite e montate con cura. Delahaye cerca in questo modo «di cogliere la complessità di una situazione in un’unica immagine, pur conservando un’ambiguità fondamentale, rifiutando ogni interpretazione univoca».

La mostra del Jeu de Paume copre dunque l’arco 2001-25, il periodo cruciale in cui l’artista ha riformulato il proprio sguardo. In questi lavori, le figure umane, silenziose, anonime, il «popolo di dolore», soldati, rifugiati, prigionieri, donne, bambini di strada, sono colte non nella loro individualità, ma come presenze universali. Il Jdp allestisce anche i lavori realizzati in India (2013), Senegal (2019-20) e Cisgiordania (2015-17), che documentano la quotidianità e appaiono come serie a parte nella sua pratica fotografica. È esposta anche una nuova, monumentale, installazione site specific. La mostra è infine l’occasione per comprendere l’approccio artistico di Delahaye, grazie all’allestimento di documenti di archivio, fonti visive e immagini che lo stesso fotografo ha scartato.

Luana De Micco, 05 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Luc Delahaye e la visione allargata delle situazioni umane | Luana De Micco

Luc Delahaye e la visione allargata delle situazioni umane | Luana De Micco