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Matteo Bergamini
Leggi i suoi articoli«Crivo» è una splendida parola portoghese, metaforicamente e formalmente vicina a quella greca «Crino»: passar pelo crivo, letteralmente, significa selezionare minuziosamente qualcosa, verificare nel dettaglio; già dal verbo greco krínō viene l'etimologia delle parole «critica», «criterio» e dunque dell'azione dello scegliere, del preferire e separare.
È questa una delle prime connessione che salta in mente entrando negli splendidi spazi di Casa Bradesco, a São Paulo, tuffandosi in «Crivo, a perspectiva de Luisa Strina», mostra che celebra i cinquant'anni di una delle gallerie più iconiche del Brasile e tra le più longeve e di successo del mondo.
In scena, nello splendido spazio patrocinato dall'omonimo gruppo bancario e ricavato dal meticoloso recupero di un ex ospedale abbandonato da 20 anni, inaugurato lo scorso anno con un progetto di Anish Kapoor, una serie di opere e installazioni molto speciali, arrivate tanto dell'archivio della galleria, quanto della collezione privata di Luisa Strina, alcune traslate direttamente dalla residenza della gallerista.
Fuoriscala o site specific, grandi o piccole, ma sempre iconiche: come ricordano Marcello Dantas, curatore dei progetti espositivi di Casa Bradesco, e Kiki Mazzucchelli, direttrice artistica della galleria, lo sguardo di Luisa Strina ha avuto la capacità, in cinque decadi di carriera, di catturare quegli artisti e quelle correnti che sono rimaste ancorate nella rete della storia, preziose testimonianze dell'evoluzione internazionale dell'arte Concettuale, del Poverismo, del Minimalismo.

CRIVO: A perspectiva de Luisa Strina, exhibition views, Casa Bradesco, São Paulo, 2025. Ph; Erika Mayumi. Courtesy of Luisa Strina
«Ho sempre deciso in maniera molto rapida, anche se non conoscevo profondamente il lavoro dell'artista. Guardavo le opere e sentivo, di pancia. Era istinto, non c'era molta teoria. Era pelle, occhio e sentimento. Quando ho aperto la galleria nel '74 mai avrei immaginato che sarebbe durata così tanto. Avevo solo 29 anni. In un Brasile soffocato dalla dittatura la mia volontà era creare un posto le idee potessero respirare, anche se le opere non erano vendibili nel senso tradizionale del termine. Io credevo che l'arte vera, autentica, non doveva arrendersi al mercato», ha dichiarato la stessa gallerista, in occasione di questo speciale anniversario.
Eppure, nonostante le non rosee condizioni iniziali, la storia di Luisa Strina è stata vincente sotto tutti i punti di vista: prima gallerista latino-americana a essere invitata a Art Basel, nel 1992, non ha mai aperto sedi né fuori dal Brasile né, tantomeno, fuori dalla città di São Paulo, ma è riuscita a internazionalizzare la scena locale portando qui nomi come Robert Rauschenberg e Olafur Eliasson, Mario García Torres, Doris Salcedo e Jorge Macchi, Alfredo Jaar e Pedro Reyes, solo per citare alcuni dei non brasiliani rappresentati oggi dalla galleria.
A Casa Bradesco, però, la collezione della galleria si mischia con quella privata della gallerista; non solo gli artisti rappresentati ma coloro che, appunto, sono passati per la «selezione», il crivo di Strina, come ad esempio Marcelo Cidade, artista che ha due opere presenti in mostra ma che da sempre lavora con Galeria Vermelho.
E a proposito di protagonisti e stili, c'è in questo percorso un substrato più concettuale che formale: la grande maggioranza delle opere presentate viene da una tradizione che da sempre ha dato più valore al pensiero critico che all’esperienza estetica, caratteristica che da sempre ha caratterizzato il programma della Galleria Luisa Strina, la sua storia.

CRIVO: A perspectiva de Luisa Strina, exhibition views, Casa Bradesco, São Paulo, 2025. Ph; Erika Mayumi. Courtesy of Luisa Strina
«Già avevamo realizzato, in galleria, una esposizione con le opere della collezione di Luisa, ma l'invito di Marcello Dantas e Casa Bradesco ci ha permesso di rimettere in scena opere di grande dimensione, difficili da allestire, che sono state mostrate solo in alcune biennali o in esposizioni istituzionali e mai più: una grande opportunità, anche per mostrare quello che Luisa rappresenta per la comunità artistica brasiliana», ci racconta Kiki Mazzucchelli.
E a proposito di display espositivo, ecco una serie di dialoghi eccezionali, che uniscono opere formalmente molto differenti tra loro: osservando attraverso il foro del paracadute aperto di Alexandre da Cunha, 1969, («Portal (Roseta)», 2020) ci si pone esattamente nella prospettiva del colpo di proiettile che ha scheggiato il grande vetro dello stesso Marcelo Cidade, 1979, («Tempo suspenso de um estado provisório», 2011), montato su una base di cemento che riecheggia i cavalletti di Lina Bo Bardi, nella stessa traiettoria di un altro vetro passato per un'arma da fuoco, stavolta di Jimmie Durham (The Bride Stripped, 2009), mentre, sull'altro lato, Carlos Garaicoa, 1967, con i suoi 200 martelli assemblati a comporre l'istallazione «Deleuze & Guattari arreglando el rizoma», 2008, questa sì, arrivata direttamente da Casa Strina.
«Luisa ha portato un gusto quasi punk in Brasile, nessuna di queste opere è rassicurante: ognuna porta con sé una critica, solleva una problematica», spiega la curatrice.
Tra le altre installazioni, assolutamente da non perdere è «O Cânone», 2006, di Marepe, 1970. Artista di Santo Antônio de Jesus, cittadina nel nord-est brasiliano, nello stato di Bahia, è riuscito a far conoscere il proprio lavoro «Brasil afora», oltre i confini, senza rinunciare a vivere nella sua terra d'origine: «La sua importanza istituzionale è innegabile, eppure ha scelto di rimanere radicato proprio a Santo Antônio de Jesus. Da lì, negli anni 2000, ha conquistato una proiezione internazionale; un caso raro, quasi unico. Il suo lavoro ha la forza del sertão, del legame viscerale con la sua terra. Per questo merita uno sguardo speciale: perché dimostra che l’arte universale può nascere anche ai margini, senza bisogno di abbandonare le proprie radici», ricorda Mazzucchelli.

CRIVO: A perspectiva de Luisa Strina, exhibition views, Casa Bradesco, São Paulo, 2025. Ph; Erika Mayumi. Courtesy of Luisa Strina
L'opera, composta da un insieme di 70 ombrelli neri aperti e appesi dal soffitto al pavimento di Casa Bradesco, osservabili dalla balaustra del primo piano, fu esposta l'ultima volta quasi vent'anni fa, nell'edizione della Biennale di São Paulo del 2006, curata da Lisette Lagnado.
Anche la grande installazione di Marcius Galan, 1972, «Três Seções [Three Sections]», 2010, è un'opera monumentale complessa nel suo realizzarsi, un vero e proprio site specific composto solo da differenti toni di pittura murale che sfondano lo spazio: impressionante entrare in questo abisso che dialoga, a sua volta, con l'eredità cinetica e concettuale, con la teoria della percezione e vive paradossalmente, di una apparente semplicità.
Una coerenza che si rispecchia anche nella scelta curatoriale, essenziale e quasi tagliente, come del resto è sempre stato affilato il pensiero di Luisa Strina: «Abbiamo cominciato ben piccoli, quasi nell'informalità, ma con una convinzione che mi ha guidato per tutte le decadi, quella che la galleria debba essere un laboratorio di sperimentazione e non un negozio di decori».
Crivo, a perspectiva de Luisa Strina
Casa Bradesco, São Paulo
fino al 3 agosto 2025
https://www.luisastrina.com.br/
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