Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Martin Bailey
Leggi i suoi articoliL’ultimo «autoritratto» di Paul Gauguin è un falso. A sostenerlo è Fabrice Fourmanoir, un ricercatore francese studioso del pittore, attualmente di base in Messico dopo molti anni trascorsi nella Polinesia francese. Le sue indagini hanno indotto il Kunstmuseum di Basilea, dove l’ «Autoritratto» è conservato sin dal 1945, ad affidare il dipinto al proprio laboratorio di restauro per esami approfonditi.
L’opera di Basilea è particolarmente significativa: ha infatti determinato il modo in cui percepiamo Gauguin nel suo ultimo anno di vita. Il volto sfrontato e sicuro dei suoi primi autoritratti è ormai un ricordo; l’artista qui appare anziano, debole e vulnerabile; porta gli occhiali, a compensare la vista ormai compromessa; indossa quello che sembra un camice bianco, fermato da una spilla. Finora l’autenticità del dipinto, non firmato e datato al 1903, era stata accettata quasi universalmente. La specialista Sylvie Crussard lo ha incluso nel catalogo ragionato di Gauguin del Wildenstein Plattner Institute pubblicato nel 2002.
L’«Autoritratto» è stato esposto nelle principali mostre dedicate a Gauguin negli ultimi anni: alla Tate Modern di Londra (2010), alla Fondation Beyeler di Basilea (2015), alla National Gallery of Canada di Ottawa e alla National Gallery di Londra (2019) e alla National Gallery of Australia di Canberra e al Museum of Fine Arts di Houston (2024). Nel catalogo di Canberra/Houston, Henri Loyrette, ex direttore del Musée d’Orsay di Parigi, lo descrive come un «ritratto dell’eternità», paragonandolo ai ritratti del Fayyum dell’antico Egitto.
Diversa l’opinione di Fourmanoir. Il ricercatore data infatti l’opera al 1916, quando Gauguin era scomparso ormai da 13 anni, e ne attribuisce la paternità a Ky-Dong Nguyen Van Cam (1875-1929), un amico vietnamita dell’artista francese sull’isola di Hiva Oa, nelle Marchesi. Le autorità francesi avevano esiliato Ky-Dong in una remota isola del Pacifico a causa delle sue attività anticolonialiste in Indocina. Gauguin, a quanto risulta, avrebbe insegnato a Ky-Dong a dipingere. Secondo Fourmanoir il ritratto sarebbe stato realizzato anni dopo partendo da una fotografia in bianco e nero.
Le prove? Nel 1984-90, a Papeete, la capitale tahitiana, Fourmanoir ha conosciuto il figlio di Ky-Dong, Pierre Napoléon: «Abbiamo avuto lunghe conversazioni su Gauguin e suo padre, Ky-Dong, riferisce il ricercatore. Mi ha raccontato che suo padre gli aveva detto di aver dipinto il ritratto di Gauguin».
Nel dipinto di Basilea Gauguin ha gli occhi azzurri, mentre nel suo fascicolo navale del 1868 il colore indicato è «brun» (marrone). Nella maggior parte delle decine di autoritratti accettati i suoi occhi sono di un marrone oliva. Nell’opera di Basilea poi Gauguin non ha il naso aquilino riconoscibile nelle fotografie e in altri autoritratti.
Un altro punto discutibile è se le condizioni di salute di Gauguin nel 1903 fossero sufficientemente buone da consentirgli di dipingere un autoritratto. Nel febbraio di quell’anno infatti l’artista aveva scritto al suo amico Georges-Daniel de Monfreid dicendo che «per tre mesi non aveva quasi toccato un pennello». Tre mesi dopo Gauguin morì, all’apparenza per un infarto.
La prima testimonianza documentata del dipinto di Basilea risale al 1923. All’epoca apparteneva a Louis Grélet, commerciante di liquori e fotografo svizzero che aveva conosciuto Gauguin alle Marchesi. Sul retro della tavola Grélet aveva annotato quanto segue: «Mi è stato regalato ad Atuona [nell’isola di Hiva Oa] nel 1905 dal manifestante annamita [vietnamita] Ky-Dong, che lo aveva ricevuto dal maestro in persona». Un anno dopo il dipinto fu messo all’asta da Sotheby’s a Londra. Dopo quella vendita, il dipinto passò nelle mani di Louis Francis Ormond, cognato di John Singer Sargent. Quattro anni dopo fu acquistato dal collezionista basilese Karl Hoffmann, che lo lasciò in eredità al Kunstmuseum di Basilea.
Fourmanoir, in sintesi, è convinto che il dipinto di Basilea sia stato «realizzato da Ky-Dong e poi venduto da Grélet come autentico, anche se Grélet sapeva bene che non era stato eseguito da Gauguin».
Una possibilità è che il quadro di Basilea sia opera congiunta di Gauguin e di Ky-Dong. Negli anni ’60 l’antropologo svedese e specialista di Gauguin Bengt Danielsson annotò quanto riferitogli da Grélet; lo svizzero gli aveva raccontato che una volta Ky-Dong era stato nello studio di Gauguin e che aveva «iniziato a dipingere» il ritratto del suo amico: «Senza dire una parola, Gauguin prese uno specchio, spinse da parte l’amico, prese il pennello e finì il ritratto da solo». Nel 1963 (due anni prima della sua morte) Grélet scrisse una lettera al Kunstmuseum di Basilea avanzando un’ipotesi simile.
Fino ad oggi gli storici dell’arte hanno escluso che il dipinto fosse un’opera quattro mani; ora anche questa ipotesi passerà al vaglio dai conservatori di Basilea. Il dipinto sarà sottoposto a radiografia, riflettografia infrarossa e fluorescenza ultravioletta. I risultati sono attesi per luglio.

L’«Autoritratto» (1903) di Paul Gauguin del Kunstmuseum di Basilea: qui l’artista ha gli occhi azzurri

Nell'autoritratto di Gauguin del 1885, i suoi occhi sono di colore marrone oliva, a differenza dell’opera di Basilea. © Kimbell Art Museum
Altri articoli dell'autore
La riapertura della Sainsbury Wing il 10 maggio consentirà al museo di esporre quasi il 40% della sua collezione
Le particelle di feldspato rinvenute durante il restauro della «Giovane donna al virginale» di proprietà di Kaplan (celebre anche per la sua collezione di Rembrandt) suggeriscono una nuova datazione per l’opera, emersa pubblicamente solo all’asta del 2004
Thomas Kaplan, il miliardario collezionista che possiede il capolavoro (attualmente in mostra ad Amsterdam), intende venderlo all’asta il prossimo anno
Nel museo londinese, una mostra ripercorre l’attività dell’artista olandese in Provenza attraverso 47 dipinti realizzati nei due anni trascorsi ad Arles e a Saint-Rémy