Matteo Fochessati
Leggi i suoi articoliGli effetti climatici del riscaldamento globale, cui quotidianamente assistiamo, hanno contribuito a maturare in noi la consapevolezza di una condizione emergenziale che, senza un radicale cambio di rotta, non potrà altro che determinare tragiche prospettive per il futuro dell’umanità. Nel frattempo, l’incidenza di questa condizione di pericolo immanente non si riflette solo sulla nostra vita quotidiana, ma anche sul nostro stesso modo di immaginare e riconoscere l’ambiente che ci circonda.
E proprio al confronto che l’uomo contemporaneo ha dovuto affrontare rispetto alle trasformazioni determinate dai rapidi cambiamenti del mondo è dedicata la mostra «The Big World: Alternative Landscapes in the Modern Era», visitabile alla Wolfsonian-Florida Internation University di Miami Beach sino al 2 giugno del 2024. Partendo dall’ampia varietà dei materiali conservati nelle collezioni del museo (dipinti, mobili, ceramiche, vetri e tessuti), la rassegna, curata da Silvia Barisione e Lea Nickless, analizza come nel corso del ’900 gli artisti si commisurarono in maniera inconsueta rispetto a un tema classico come quello del paesaggio.
Mentre una parte di loro continuò a immortalare nelle loro opere una tradizionale visione della natura, i più innovativi tra essi cominciarono a identificare le trasformazioni determinate sull’ambiente dall’urbanizzazione e dall’industrializzazione, restituendo una provocatoria lettura dei nefasti effetti di tali cambiamenti.
Articolata in tre sezioni la mostra ripercorre dunque il progressivo passaggio dalla serena celebrazione del mondo naturale, come fonte di sostentamento e di ricchezza, alla prospettiva di ansia e incertezza determinata dagli effetti nocivi del progresso tecnologico. Nella prima sezione «The Natural World» le tradizionali raffigurazioni di montagne, deserti, foreste e coste marine mostrano il persistere di un rapporto di empatia tra l’uomo e la natura che può addirittura prolungarsi nel suo habitat quotidiano, come documentato dalla lirica decorazione pittorica di un paesaggio, raffigurata su un pianoforte a coda di manifattura americana, presentato all’Esposizione Universale di Saint Louis del 1904.
La successiva sezione «The Built Environment» documenta come nella crescente trasformazione del paesaggio contemporaneo, costellato dalle imponenti strutture ingegneristiche di ciminiere, dighe, ponti e grattacieli, viene progressivamente affiorando, nonostante la persistente celebrazione del progresso, un’inquieta consapevolezza dei futuri danni della deregulation industriale e urbanistica. Nell’ultima sezione della mostra, «The Battle for the Land», la raffigurazione delle devastazioni naturali causate dall’uomo collimano, simbolicamente, con i danni della guerra, come provocatoriamente proposto dal confronto tra il dipinto del pittore francese Raymond Daussy «La bataille pour la ville» (1944) e il desolante paesaggio urbano di Virginia Berresford, in cui la natura appare ormai vinta e sottomessa da un’indiscriminata crescita urbana.
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