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Claudio Strinati
Leggi i suoi articoliNel gennaio del 1964 Arnold Hauser firma, da Londra, l’introduzione al suo libro Der Manierismus. Die Krise der Renaissance und der Ursprung der modernen Kunst. L’anno dopo compare una splendida traduzione italiana di Clara e Anna Bovero, quarto volume della nuova collana «Biblioteca di storia dell’arte» di Einaudi. Hauser riflette su limiti e grandezza del suo lavoro. Nel decennio precedente aveva pubblicato testi rimarchevoli: The Social History of Art (1951), una visione quasi in chiave marxista, seguita dalla Philosophie der Kunstgeschichte (1958), ambizioso tentativo di porre un punto fermo nella discussione metodologica sulla disciplina. Nell’introduzione al Manierismo scrive: «Mi è stato fatto osservare che il libro (la Filosofia della storia dell’arte) non esaurisce uno degli argomenti principali, il problema del convenzionalismo in arte». Va quindi colmata quella lacuna! Ecco come: «L’epoca del Manierismo che costituisce l’oggetto di questo studio è infatti il tempo delle convenzioni più impersonali, più rigide e meccaniche ma il convenzionalismo è soltanto un aspetto di quell’arte, la quale accanto ai prodotti più uniformi presenta le creazioni più originali, caratteristiche e ardite. Il Manierismo non è affatto un periodo di pura e semplice convenzione».
Ma le convenzioni che cosa sono, esattamente? Sono per Hauser «il pietrificarsi dell’interiorità in una forma immobile, avulsa dal soggetto creatore, la spersonalizzazione e oggettivazione dei rapporti umani, e l’alienazione dell’uomo da se stesso». Ciò posto, spiega lo studioso, «la mia attenzione si è rivolta soprattutto al processo storico, concentrandosi sull’evoluzione cui sono dovute opere le quali, nonostante le loro qualità convenzionali, sono fra le più grandi che possegga l’umanità». Così il Manierismo sarebbe un banco di prova per stabilire l’equilibrio tra ragione e torto. Hauser, cioè, ratifica la consolidata definizione (che dunque gli appare incontrovertibilmente ragionevole) di Manierismo come categoria e quindi convenzione; ma nel contempo dà torto a chi crede di vedervi soltanto il convenzionalismo senza accorgersi degli immensi e incomparabili valori che vi premono dentro, malgrado l’apparentemente intrinseca contraddizione, fino ad annullarlo, essendo il convenzionalismo negativo in sé. La battaglia politica, filosofica, religiosa ed estetica tra il torto e la ragione culminava quindi in quel fatale settimo decennio del XX secolo anche nello spazio della storia dell’arte, apparentemente innocua e irrilevante come almeno ora sembra diventata.
Nello stesso 1964 Herbert Marcuse (poco più giovane di Hauser che era del 1892, essendo nato nel 1898) pubblicava il formidabile pamphlet L’uomo a una dimensione, destinato a diventare una sorta di ideale premessa alla rivoluzione culturale e comportamentale del 1968. E nello stesso 1964 Theodor Wiesengrund Adorno, nome un tempo venerato, stava ultimando un libro tragico e difficile, la Dialettica negativa che sarebbe poi uscito nel 1966, uno dei testi filosofici più elitari e sconcertanti mai letti in questo mondo che dice, in ardua sede teoretica, quello che Hauser tentava goffamente di dire da storico dell’arte. Le convenzioni su cui abbiamo fondato la nostra vita e il nostro sapere suonano, come inconsciamente tali, «giuste» in sé, persino quando le contestiamo. Tuttavia, le contestiamo proprio perché riteniamo di essere dalla parte della ragione, che è in realtà procedura ben diversa dall’«avere ragione» e pensare quindi di essere nel giusto. Eppure, tutto sembrerebbe allora coincidere, stando al buon senso, cui però è sommamente rischioso affidarsi essendo il padre e la madre del convenzionalismo. Come mai Rosso Fiorentino che è manierista esasperato (stando all’analisi di Hauser, beninteso) è anche sommo maestro? O forse è proprio per questo? La sua mirabolante «Deposizione» di Volterra del 1521, quasi spaventa Hauser: «Crea un’atmosfera di sogno, anzi di incubo, macabra e spettrale… Tutto questo sembra voglia evocare in partenza una vita non soltanto spirituale, ma spiritata, suggerire che l’esistenza non solo non è semplice e chiara, ma non è nemmeno inoffensiva». Il politically correct che pare adesso dominare il mondo non era ancora nato, ma ne cominciava la gestazione.
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