«Mantua me genuit», Mantova mi generò: è questo l’incipit dell’epitaffio, secondo la leggenda dettato da lui stesso in punto di morte, che figura sulla tomba di Publio Virgilio Marone nel Parco Vergiliano di Piedigrotta a Napoli. Il poeta (70 a.C.-19 a.C.) ribadiva con orgoglio la sua nascita ad Andes, appena fuori Mantova. E Mantova non ha mai smesso di considerarlo come una sorta di propria intoccabile divinità laica. Ora il Comune della città (con il supporto di Fondazione Banca Agricola Mantovana) gli dedica un museo, il Museo Virgilio, nel Palazzo del Podestà, riaperto, con un progetto di riqualificazione firmato da Italo Rota, dopo i 12 anni di lavori necessari per sanare i danni del sisma del 2012. L’edificio, del Duecento, è unito all’Arengario e al Palazzo del Massaro, anch’essi di età comunale, e si alza tra Piazza Erbe e Piazza del Broletto. Vero palinsesto della storia di Mantova, da quando fu fondato (nel 1227) fino al Novecento, il palazzo è stato soprattutto la sede storica dell’Amministrazione cittadina: il luogo del potere e della giustizia, eppure dal Quattrocento per i mantovani è il «Palazzo di Virgilio».
Qui, in otto sale, si snoda il racconto ideato da Scuola Holden di Torino (la scuola di scrittura fondata nel 1994 da Alessandro Baricco, Ndr) che fa rivivere il poeta scandendone la vita e l’opera in più tappe, con speciale attenzione alle Bucoliche, alle Georgiche e all’Eneide. Ovunque ci sono testi, installazioni sonore, contenuti audio e video e postazioni touchscreen, ognuno dei quali esplorabile, grazie all’app Museo Virgilio, attraverso quattro percorsi che toccano il Vivere (il contesto storico), il suo Pensare, lo Scrivere e il Restare: la presenza di Virgilio perdura infatti tuttora, grazie anche alla leggenda fiorita intorno alla sua figura, reinterpretata da studiosi, pensatori, scrittori. Fra i reperti virgiliani, ecco la statua policroma di «Virgilio in cattedra», XIII secolo, eletta a simbolo della città, il cosiddetto «Trono di Virgilio», II secolo a.C., le monete gonzaghesche con la sua effigie e i volumi antichi delle sue opere, fino all’installazione finale, che apre anche a percorsi fuori di qui.
Ma il restauro seguito al terremoto ha permesso di scoprire un patrimonio inaspettato di affreschi della metà del Duecento. Come ci spiega Veronica Ghizzi, direttore dei Musei Civici di Mantova, «gli affreschi erano nascosti sotto uno strato d’intonaco. Li abbiamo scoperti quando, mettendo in sicurezza la Casa del Massaro, è stato abbattuto un tramezzo ed è emersa la parte posteriore di un cavallo. Con la Soprintendenza si è proceduto ai saggi e sono venuti alla luce affreschi allegorici di qualità altissima, che si possono riallacciare ai temi delle “Georgiche” di Virgilio, spesso riprese nella cosmologia medievale. Su una parete si vede infatti il Ciclo dei mesi, con le attività agricole di ogni stagione che evocano l’armonioso scorrere della vita e del lavoro degli uomini in tempo di pace; su altre due pareti c’è invece la brutalità della guerra, che distorce quell’armonia».
A causa degli incendi che hanno distrutto parte degli archivi qui conservati, non esiste alcun documento su questo ciclo, che trova però riscontro in altri affreschi in Palazzo della Ragione raffiguranti cavalieri in armi: «Stesso soggetto, stesso periodo ma tutt’altra mano, commenta Veronica Ghizzi. E con significati ben differenti, perché questi inneggiano al tema delle Crociate, mentre nei primi il tema, virgiliano, è la denuncia del male della guerra: tanto che i cavalieri esibiscono corpi animaleschi e sono sovrastati da draghi che combattono».
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