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Prosegue fino al 4 novembre, alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, la mostra «Natura morta. Jago e Caravaggio: due sguardi sulla caducità della vita», curata da Maria Teresa Benedetti (catalogo Moebius-Arthemisia): un altro passo verso la contemporaneità compiuto dal più antico museo milanese, dov’è custodita la collezione del fondatore, il cardinale Federico Borromeo (1564-1631).
Di fronte e a confronto con il dipinto famosissimo della «Canestra di frutta» di Caravaggio, che chiude il cannocchiale ottico del gran salone, mostrando quei suoi frutti ancora succosi ma già attaccati dai primi segni della corruzione e quella simbolica foglia accartocciata tra le altre ancora vitali, nel buio dello spazio si accende il candore del marmo statuario in cui Jago ha scolpito un’altra «canestra», questa colma però non di frutti della terra destinati, come tutto in natura, a morire, ma di oggetti concepiti e costruiti dall’uomo espressamente per causare la morte dei suoi simili. Come spiega l’artista, «con quest’opera ho voluto indagare la violenza silenziosa che permea la nostra società, quella che non si manifesta solo nei conflitti armati ma anche nel modo in cui trattiamo l’altro, nel rifiuto, nella sopraffazione quotidiana. Un cesto colmo di armi ci dice che il frutto del nostro tempo non è più la vita, ma la distruzione».
Due «memento mori» profondamente diversi: uno, inserito nel naturale ciclo della vita, l’altro generato dalla volontà distruttrice dell’uomo. E «la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, commenta monsignor Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca, è ben lieta di presentare questa denuncia coraggiosa con una scultura che segna un ulteriore incontro fra passato e presente e che rinnova il linguaggio dell’arte, stimolando una critica intensa e attuale». Da alcuni anni Jago (Jacopo Cardillo, 1987) ha conquistato una visibilità internazionale con la sua scultura virtuosistica, che rende omaggio a maestri del passato: esemplare il «Figlio velato», 2019 (ispirato al «Cristo velato», 1753, di Giuseppe Sanmartino, capolavoro della Cappella Sansevero di Napoli), esposto prima a New York e poi portato proprio a Napoli, nella Basilica di San Severo fuori le mura, come simbolo e augurio di rinascita. A Napoli, città cui è molto legato, l’artista ha anche aperto nel 2022 lo Jago Museum, un luogo di cultura, di aggregazione e d’inclusione per la fragile comunità del Rione Sanità.
Intanto, è presente fino al 13 ottobre nel Padiglione italiano dell’Expo di Osaka, con la sua installazione «Apparato circolatorio» (2017), e da poche settimane alcune sue sculture si confrontano con lo spazio del Teatro Greco di Taormina, nella mostra «Gesti scolpiti» (fino al 3 maggio 2026), in cui è esposta anche la scultura «David»: una giovane donna nuda, presentata negli scorsi mesi nelle Gallerie d’Italia-Napoli di Intesa Sanpaolo, ispirata ai modelli classici ma che con la sua fierezza incarna un modello contemporaneo di femminilità.

Michelangelo Merisi detto Caravaggio, «Canestra di frutta», 1597-1600, Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Pinacoteca. © Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio

Jago, «Natura Morta», 2025. Photo: Jago. © Jago, by Siae 2025