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Giorgio Motisi
Leggi i suoi articoliProsegue fino al 28 luglio, negli spazi della Fondazione Marino Marini di Pistoia, la nuova mostra «Marino e Pistoia. Di nuovo insieme» dedicata al lavoro dello scultore pistoiese: in assoluto una tra le figure più importanti dell’arte italiana del ’900. Dopo quasi cinque anni di chiusura al pubblico, riaprono così finalmente alcuni ambienti del Palazzo annesso alla ex chiesa del Tau, dove insieme alle opere dell’artista è possibile, come sempre, ammirare uno dei più straordinari cicli di affreschi della seconda metà del Trecento toscano, opera del fiorentino Niccolò di Tommaso.
Il vero protagonista delle sale, specie in queste settimane, rimarrà però Marino. Nato a Pistoia nel 1901 e formatosi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, alla fine degli anni Venti lo scultore si traferì a Milano, dove prima del secondo conflitto mondiale conobbe e sposò Mercedes Pedrazzini (presto affettuosamente ribattezzata con il nome di «Marina»). I due trascorsero insieme il resto delle loro vite tra la Toscana, la Svizzera e il capoluogo lombardo, dove l’artista fu a lungo titolare della cattedra di Scultura all’Accademia di Brera. Già a partire dagli Trenta, Marino si affermò però soprattutto come una delle figure di maggiore peso, prima all’interno del panorama dell’arte italiana e presto anche a livello internazionale, godendo di uno straordinario successo critico, collezionistico ed espositivo, ancora oggi testimoniato dalla presenza di suoi lavori nei più importanti musei del mondo.
Il legame con Pistoia sarebbe però sempre rimasto una costante nella vita dello scultore. Ed è qui che all’inizio degli anni Ottanta, dopo la morte del marito, Marina decise di inaugurare la Fondazione Marino Marini, che da allora si occupa dello studio, della conservazione e della valorizzazione dell’opera di Marino: artista capace, nel corso di più di cinquant’anni di carriera, di misurarsi sempre con consapevolezza e potente originalità con le sfide più avanzate dei linguaggi pittorici e scultorei del ’900, rimanendo tuttavia fedele al proprio universo figurativo, costellato da figure di giocolieri, Pomone, atleti, danzatrici, oltre che dai più celebri cavalli e cavalieri.
La mostra propone un importante gruppo di opere selezionate dalla collezione permanente della Fondazione, che a partire dalla malinconica «Bagnante seduta» del 1935 coprono efficacemente un arco cronologico che arriva fino ad alcuni «Miracoli» e «Gridi» di grande formato della metà degli anni Sessanta, passando per una serie di affascinanti ritratti, cavalli di piccolo formato, nudi femminili, lavori di grafica e persino alcuni dipinti, che offrono una panoramica utile e mai banale sull’attività dell’artista.
L’allestimento, curato dal Comitato Scientifico della Fondazione, si smarca poi in maniera decisa da quello di buona parte delle esposizioni dedicate in passato a Marino, quasi sempre impostate su un criterio cronologico, oppure organizzate attraverso affondi sui vari nuclei tipologici della sua produzione. Anche alla luce dei limitati spazi a disposizione, il tentativo è stato invece quello di rievocare il clima visivo testimoniato da alcune celebri fotografie dell’atelier di Marino: riprese fotografiche, spesso pubblicate su libri e riviste per volere dello stesso artista, in cui le sculture si affollano a terra o sugli scaffali dello studio, dando vita a suggestive relazioni visive e iconografiche, ma soprattutto stabilendo tra di loro inaspettate tensioni espressive e spaziali.
La scelta è stata insomma quella di accettare una duplice sfida: da una parte, quella di allestire la mostra in un ambiente particolarmente complesso, articolato su diverse altezze e costantemente animato dai giochi di luce della vetrata piramidale del soffitto del pianterreno di Palazzo del Tau; dall’altra, quella di trarre alcuni stimoli da una ricerca di carattere squisitamente documentario, condotta sulle fotografie di atelier e sui materiali d’archivio della Fondazione. Le opere sono state così liberamente collocate per terra, sui gradoni dell’impluvium e negli spazi attigui: in primo luogo con l’obiettivo di invitare a un dialogo più libero e confidenziale con questi lavori, confrontandosi con essi da punti di vista inusuali e spesso del tutto inaspettati, e restituendo in questo modo una rinnovata freschezza al linguaggio plastico di Marino e al rapporto tra le sculture e il loro contenitore architettonico.
La mostra, visitabile, anche su prenotazione, tutti i fine settimana, è un primo passo importante, a cui la Fondazione spera di far seguire presto nuovi progetti e iniziative, in grado di ristabilire un dialogo attivo tra l’artista e la sua città. Per il momento, basterà muovere qualche passo nelle sale di Palazzo del Tau per accorgersi di come Marino e la sua opera, da Pistoia, non se ne siano mai andati davvero.

Una veduta della mostra «Marino e Pistoia. Di nuovo insieme» presso la Fondazione Marino Marini di Pistoia. © Gianmarco Russo (Fondazione Marino Marini di Pistoia)