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Un dialogo tra arte e musica prende forma tra le stanze storiche del Circolo di Ave, in cui il tempo dell’ascolto è trasformato in paesaggio sensibile
- Alessia De Michelis
- 28 luglio 2025
- 00’minuti di lettura


Mario Airò, «Diapason #3», 2019
Mario Airò e l’eco visiva del suono a Palazzo Brancadoro
Un dialogo tra arte e musica prende forma tra le stanze storiche del Circolo di Ave, in cui il tempo dell’ascolto è trasformato in paesaggio sensibile
- Alessia De Michelis
- 28 luglio 2025
- 00’minuti di lettura
Alessia De Michelis
Leggi i suoi articoliCosa accade quando il suono si fa forma? Grazie all’associazione Karussell, «Nel mentre», la personale di Mario Airò (Pavia, 1961) ospitata negli spazi di Palazzo Brancadoro, a Fermo, e curata da Matilde Galletti, cerca di rispondere con una serie di installazioni che trasformano la musica in esperienza visiva, tattile e mentale. Il titolo suggerisce uno stato sospeso, un tempo intermedio, ed è proprio lì che si colloca l’opera di Airò: in una zona in cui l’ascolto si espande e si sedimenta.
L’artista, da sempre attento alle risonanze tra materiale e immateriale, costruisce un percorso in cui l’armonia musicale diventa struttura e metafora. Il diapason, simbolo universale dell’accordatura, viene ingigantito e alterato; la luce dell’oro si fa vibrazione cromatica. I fiori, icone fragili di bellezza effimera, si trasformano in strumenti di stampa o si piegano alla gravità, accompagnati da brani di Debussy e Ponce, che l’artista intreccia alla materia come un contrappunto poetico.
Nella Sala della Musica, l’installazione «Pareidolia capillare», composta da sei grandi pannelli in legno di pioppo, vibra come corde silenziose, mentre un pannello bianco, «Anatoma tobeyoides», chiude il percorso e si offre allo sguardo come spartito invisibile, attraversato da segni che sembrano traiettorie vitali. Il risultato è un’esperienza intima e contemplativa, che riflette sul potere del suono di modellare lo spazio e il tempo.
Fino al 15 settembre, Airò qui non illustra la musica: la evoca, la ascolta, la traduce in immagini che restano sospese, come un’eco appena svanita. Un progetto che si fa tutt’uno con la vocazione del luogo che lo ospita, in un tempo che non è quello dell’evento, ma della durata interiore.