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Renata Cristina Mazzantini. Foto Alessandro Moggi

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Renata Cristina Mazzantini. Foto Alessandro Moggi

Mazzantini dopo Collu: «Porterò l’architettura e il design nella Gnam»

Primissima intervista rilasciata da Cristina Mazzantini neodirettrice della Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea di Roma

Guglielmo Gigliotti

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Renata Cristina Mazzantinima tutti mi chiamano solo Cristina», sorride) è la nuova direttrice della Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea (Gnam) di Roma. Un museo legato ai suoi ricordi di studentessa della Facoltà di Architettura di Valle Giulia, e quindi frequentato fin agli anni in cui, recandosi a seguire i corsi tra gli altri di Paolo Portoghesi e Giovanni Carbonara, passava al suo cospetto.

Entrerà in carica il 15 gennaio. Presso la Presidenza della Repubblica dal 2019 ha curato il progetto «Quirinale contemporaneo», allestendo nei fastosi ambienti antichi opere d’arte contemporanea e di design, facendo della residenza sul Colle un museo metatemporale. Per il successo riscosso «Quirinale contemporaneo» è diventato un modello che altre istituzioni hanno deciso di replicare.

Mazzantini è attualmente curatrice di diversi progetti culturali che ne seguono l’esempio, tra cui: «Reggia Contemporanea» per il Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, «Villa Firenze Contemporanea» per l’Ambasciata d’Italia negli Stati Uniti, «ARSxIUS» per la Scuola Superiore della Magistratura, «Mit Contemporaneo» per il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, «Contemporanei a Palazzo Borromeo» per l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede.

In qualità di architetto in precedenza ha progettato e diretto a Roma i restauri di complessi architettonici quali quelli di Santa Maria sopra Minerva, di Santa Maria in Campo Marzio o di Palazzo Montecitorio. Specializzata in allestimenti di mostre, ha firmato quello delle opere di Georgia O’Keeffe alla Fondazione Roma Museo e quello del «Satiro danzante» ai Musei Capitolini. Con Paolo Portoghesi ha curato il volume Palazzo Montecitorio (Mondadori Electa), ha redatto saggi per Patrimoni storico-artistici e paesaggi culturali (Lumi Edizioni), Natura e cultura nel paesaggio italiano (Edizioni Unicopli). Per Treccani ha curato il volume appena uscito Dentro Roma, con fotografie di Massimo Listri.

Rispetterà l’allestimento della precedente direttrice, Cristiana Collu, non cronologico e fatto di libere associazioni?
È un allestimento concepito otto anni fa, e necessita di aggiornamento. Credo fermamente nel valore didattico dei musei, e quindi vorrei garantire anche al grande pubblico una lettura più immediata dell’evoluzione dell’arte negli ultimi due secoli. Più che un ordine cronologico, vorrei seguire un criterio monografico, con approfondimenti di singole grandi personalità e con la narrazione dei grandi movimenti. Possibilmente, presentandoli come insieme anche in chiave multidisciplinare, per restituirne la temperie culturale di cui furono espressione. Vorrei che le opere avessero un impatto più immediato sul grande pubblico, che riuscissero a toccare il cuore e la mente dei fruitori.

Nel momento di lasciare il museo, Cristiana Collu ha detto a «Il Giornale dell’Arte»: «La Galleria gode di ottima reputazione e di un’ottima salute, mentre nel 2015, come noto, era cagionevole. La cura è stata efficace e la guarigione rapida. Chi verrà dopo di me partirà da una solida base amministrativa e gestionale. Salterà su un’auto in corsa con il pieno, su una nave da crociera che naviga in acque sicure, e su un’astronave (l’Ala Cosenza) sulla rampa di lancio». Si sente pronta al volo?
Sì. Collu ha ragione, ha fatto molto bene in questo. Ora avrò la fortuna di gestire un hardware moderno ed efficiente, ma dovrò perfezionare il software. E questo per me significa definire un brand del museo, qualcosa che lo renda facilmente riconoscibile, individuando 3-4 immagini iconiche della collezione, e farne il simbolo dell’istituzione che rappresenta l’arte nazionale degli ultimi due secoli. Il museo ora è moderno e maturo, la sua immagine può quindi essere ridefinita e veicolata. Perché la sua identità possa diventare molto più forte.

Ha intitolato un suo saggio «Le ragioni della leggerezza» e una mostra «La vita silenziosa delle cose»: sono i suoi principi guida?
Sì, ma non solo. Ci sarà anche un terzo fattore, la luce. La leggerezza è il modo, il silenzio pertiene all’essenza dell’arte, ma poi c’è il contatto col mondo, e questo è luce. Quindi direi che il mio principio generale sarà dare luce a una magnifica collezione, illuminarne in silenzio la leggerezza.

Esiste una formula per l’allestimento museale perfetto?
Un allestimento funziona se raggiunge il pubblico, mettendolo nelle condizioni migliori per entrare in contatto con l’opera d’arte. L’allestimento è una messa in scena che deve svelare anche i significati sottesi dell’opera e deve saper creare emozioni e ricordi.

Ha già qualche progetto espositivo in programma?
So che troverò il progetto della grande mostra di ottobre sul Futurismo, di cui però non so ancora nulla.

Proseguirà la politica di acquisizione degli archivi di artisti e studiosi?
Certo. Non sarà la linea dominante, ma è una linea in cui credo.

Collu ha lavorato molto alla qualificazione energetica del museo.
Sarà anche una mia priorità, ho conseguito un PhD proprio in progettazione ambientale.

Curerà mostre in prima persona, come è sempre più usuale per i direttori di museo, o chiamerà figure esterne?
Mi avvarrò di personalità con cui ho già collaborato in precedenza e di personale interno al museo, eccetto che per progetti culturali che sono nelle mie corde, ai quali potrei dedicarmi personalmente.

Ovvero mostre di architettura? 
Non solo, forse anche di design. Credo molto nella multidisciplinarietà dell’offerta museale, e mi piace la definizione «creatività contemporanea».

Che cosa ha imparato dall’esperienza di «Quirinale contemporaneo»?
Che l’arte contemporanea non ha bisogno del «white cube», e che esiste molta più continuità di quanto si crede tra l’antico e il moderno. Le stesse avanguardie, lette sempre come fenomeni di rotture e contrasti, intessono segreti fili rossi con il passato.

Il suo maestro Paolo Portoghesi diceva che l’edificio del museo di Valle Giulia, progettato da Cesare Bazzani, è un capolavoro. Concorda?
Assolutamente sì. Ed è anche molto funzionale la sequenza delle sale, e preziosa la presenza dei lucernari. Da architetto direi «un ottimo contenitore museale».

Qual è l’insegnamento più prezioso di Portoghesi?
Quello riguardante il valore dell’armonia dell’architettura, anche con la natura e il paesaggio.

E l’amore per Roma, no?
Io sono innamoratissima di Roma, è una città di una bellezza struggente e pervasiva, fatta di storia, ma anche di colore, luce, clima, paesaggio. Mi è capitato di vivere per periodi lontano da Roma. Mi mancava moltissimo. Roma è il mio elemento. 
 

Guglielmo Gigliotti, 02 gennaio 2024 | © Riproduzione riservata

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