Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliRiaprono a Firenze, dopo cinque anni e nove mesi di restauro, con la curatela di Alessandra Griffo, gli Appartamenti reali di Palazzo Pitti, sede di dinastie di sovrani: prima i Medici, poi gli Asburgo Lorena (1737-99 e 1814-59 con l’intermezzo napoleonico) e infine i Savoia. Si ricompongono così, sottolinea Simone Verde, il direttore delle gallerie degli uffizi di cui Palazzo Pitti è parte, nelle «varietà degli stili, le identità estetiche della nazione». I Savoia arricchirono infatti la reggia di arredi raccolti dalle regge di quasi tutti i territori annessi a suggello di quell’Italia, da poco unita, di cui Firenze diviene nel 1865 capitale, prima di cedere il ruolo a Roma nel 1870.
Era stato Enrico Colle, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, su incarico dell’allora direttrice Cristina Aschengreen Piacenti, a compiere il grande lavoro di riallestimento, basandosi principalmente sull’inventario Savoia del 1911, recuperando anche opere e mobilio e suppellettili da depositi esterni al palazzo. La riapertura odierna riparte proprio da lì, con alcune variazioni, tra cui ad esempio la rimozione di tappeti ottocenteschi lasciando il parquet a vista, qualche modifica nella disposizione dei mobili e l’introduzione di alcuni dipinti, soprattutto riferiti al periodo del Gran Principe Ferdinando (1663-1713). Come precisa Griffo, riaprire gli appartamenti significa percepire il Palazzo nella sua integrità e non come insieme di musei indipendenti, dove ogni ambiente «ha una caratteristica specifica ma vi si trova traccia di storia stratificata nei secoli».
Sono 14 ambienti riccamente decorati che talvolta prendono il nome dai preziosi parati che le rivestono: dalla Sala Verde, con l’affresco di Luca Giordano e lo stipo con formelle in pietre dure di Vittoria della Rovere, a quella del Trono con la decorazione della volta di Giuseppe Castagnoli; dalla Sala Celeste (un tempo dei Cembali), col camino «delle aquile» di Francis Harwood (1727-83) e l’unica lumiera medicea superstite, commissionata nel 1697 dal granduca Cosimo III all’intagliatore Vittorio Crosten e i ritratti eseguiti da Giusto Sustermans, fino alla Sala dei Pappagalli (cosiddetta per aver interpretato erroneamente, in epoca Restaurazione, le aquile reali nella tappezzeria della Manifattura di Lione del 1814 ). Dal Salotto della Regina con alle pareti soggetti riferiti alla storia sabauda o che mostrano episodi della vita di Giotto e Cimabue, Simone Martini e Michelangelo, alla Camera della Regina, che in origine ospitava il «trucco», gioco simile al biliardo. Dal Gabinetto Ovale di gusto rococò con le cineserie nei parati e a quello Rotondo, entrambi voluti da Maria Teresa d’Austria per l’arrivo del proprio figlio, Pietro Leopoldo nuovo granduca, alla Cappella, l’ambiente che meglio conserva l’aspetto dell’epoca del Gran Principe Ferdinando (ritratto sulla destra e a cui si riferiscono i motti e i simboli negli stucchi e nei cartigli della volta, eseguiti su disegno di Giovan Battista Foggini), ma che in origine, prima che Pietro Leopoldo di Asburgo Lorena ne mutasse nel 1765 la destinazione, aveva un’alcova con un letto monumentale e una piccola biblioteca nel mezzanino celato dietro lo schermo intagliato e dorato;. Fino alla Camera del Re, allo Studio, con l’elegante scrittoio francese della metà del Settecento appartenuto a Louise Elisabeth, duchessa di Parma, e all’Anticamera del Re.
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